Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Violenza sessuale e dissenso implicito

Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2024, sentenza n. 44037

LA MASSIMA
“In materia di delitti contro la libertà sessuale, essenziale ad integrare la violenza è la prova di una qualsiasi forma di costringimento psico-fisico, senza che rilevino, in senso contrario, l’esistenza di un rapporto coniugale o para-coniugale o la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, laddove risulti provato che l’agente abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali”

IL CASO
La vicenda trae origine dalla sentenza emessa dalla Corte di Appello che, nel confermare la pronuncia dei giudici di primo grado, ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale ex artt. 81 cpv., 61 n.11-quinques e 572, comma 1 e 61, n.2, 609bis, comma 1, 609-ter, n.5-quater, 609septies, comma 4, n.4, c.p.
Avverso tale pronunzia, il ricorrente ha presentato ricorso per Cassazione ex art. 606, lett. e), c.p.p. articolandolo in due motivi.
Con il primo di essi, deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui confermava la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di violenza sessuale pur in assenza di un esplicito dissenso del coniuge al compimento dell’atto sessuale.
Dal quadro probatorio raccolto, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto accertare l’ignoranza del reo in relazione al dissenso, per converso espresso su altri profili legati alla vita familiare.
Con il secondo, invece, lamentava carenza di motivazione in ordine all’omessa pronuncia della Corte di Appello sulla richiesta di riduzione della pena.

LE QUESTIONI
Il Supremo Consesso ha colto l’occasione per ribadire i consolidati principi in merito all’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 609bis, comma 1, c.p. e, in particolare, all’irrilevanza di un dissenso esplicito all’atto sessuale ai fini della configurazione del reato de quo.
Il quesito, invero, è stato già affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, da tempo univoca nel ritenere che il mancato rifiuto ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non esclude la tipicità del fatto quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti.
La norma, del resto, tutela la libertà di autodeterminazione della vittima, da ritenersi certamente lesa ogniqualvolta l’assenza di un dissenso esplicito trovi causa nel timore di conseguenze ancora più pregiudizievoli (Cass. III sez., n. 36901/2020; Cass. III sez., n. 1764/2020).

LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, in armonia con le precedenti decisioni sul punto, ha rigettato entrambi i motivi di ricorso per le motivazioni di seguito riportate.
È stato rilevato, preliminarmente, che quello della Cassazione è giudizio di legittimità a critica vincolata, sicchè deve ritenersi preclusa la possibilità di ottenere una nuova valutazione del quadro probatorio da sostituire a quella già effettuata dal giudice di merito.
La rispondenza delle valutazioni di merito alle acquisizioni processuali, invero, può essere dedotta nel c.d. travisamento della prova, vizio non rilevabile nel caso di specie per la presenza della doppia conforme, ossia di una doppia pronuncia di eguale segno.
Il Supremo Consesso, nel richiamare la propria giurisprudenza, ha ribadito che l’assenza di un rifiuto esplicito all’atto sessuale non osta alla configurabilità del reato di cui all’art. 609bis, comma 1, c.p., fintanto che l’autore della violenza sia consapevole, anche implicitamente, del dissenso.
Il tenore letterale della norma, del resto, fa riferimento alla nozione di “costrizione” e impone all’interprete di considerare il rifiuto elemento costitutivo implicito della fattispecie.
Ciò che rileva, pertanto, è che la volontà della vittima all’atto sessuale sia coartata e che tale condizionamento sia noto all’autore della violenza.
I giudici di legittimità, pertanto, hanno precisato che la consapevolezza del rifiuto, in assenza di un esplicito dissenso, deve essere desunta dalle circostanze del caso concreto, quali: il clima di sopraffazione e violenza del contesto familiare; le condotte di maltrattamento; la volontà di separazione, certamente incompatibile con un generalizzato comportamenti agli atti sessuali; il ripetersi di comportamenti di violenza verbale e fisica.
Nella sentenza in esame, inoltre, è stata negata cittadinanza alla c.d. difesa culturale, ovvero alla possibilità di giustificare la condotta criminosa in nome di limiti o diversità culturali inerenti alla concezione del rapporto coniugale, pena l’affievolimento del diritto fondamentale di libertà sessuale (cfr. Cass. III sez. 5 giugno 2015, n. 37364).
La Suprema Corte, infine, ha rigettato anche il secondo dei motivi di ricorso per eccessiva genericità delle doglianze esposte e, stante l’infondatezza delle censure sollevate, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.