Violenza economica e maltrattamenti contro familiari o conviventi

Cass. pen., Sez. VI, 13 gennaio 2025, sentenza n. 1268
LE MASSIME
“Integra il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi la condotta di chi impedisce alla persona offesa di essere economicamente indipendente, nel caso in cui i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocare in quest’ultima un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche ed organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise, ma unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza o di prevaricazione psicologica”.
“Le condotte dell’imputato volte ad osteggiare la coniuge nella ricerca di un’attività lavorativa- sottoponendola peraltro ad un controllo degli spostamenti attraverso l’installazione di una telecamera sul perimetro esterno dell’abitazione- e a non consentirle di coltivare e sviluppare un quadro di relazioni con persone esterne alla famiglia; ad imporle un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripetizione di ruoli; a sottrarsi alla gestione domestica e familiare delegandone interamente le incombenze alla coniuge, così da non consentirle altra soluzione che quella di abbandonare le proprie ambizioni professionali ed essere da lui “mantenuta”; a non remunerare le attività svolte nell’interesse dell’azienda familiare, con il proprio arricchimento, costituiscono tutti comportamenti che sono obiettivamente finalizzati alla limitazione economica delle persona offesa”.
IL CASO
La vicenda in esame trae origine dal ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte di appello confermava la condanna del Tribunale nei confronti dell’imputato per delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravato dalla presenza di figli minori.
Avverso la sentenza la ricorrente proponeva ricorso deducendo i seguenti motivi: vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata fondato la responsabilità del ricorrente sulle sole dichiarazioni della moglie, rimaste prive di riscontro; violazione del principio del ne bis in idem con riferimento alla condanna inflitta al ricorrente dal Tribunale spagnolo per due episodi di minacce, che la Corte di merito ha escluso addebitando alla difesa un onere che non le spettava; violazione di legge in ordine al regime sanzionatorio, in quanto la sentenza impugnata ha erroneamente applicato quello più grave, previsto dalla legge n. 69/2019, disattendendo i principi sanciti dalla Corte di Cassazione con sentenza 28218 del 2023; violazione di legge in ordine sia alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nonostante la condotta processuale del ricorrente sia al diniego delle sanzioni sostitutive, motivato con formule di stile per i precedenti penali dell’imputato e per un giudizio prognostico negativo circa l’osservanza delle prescrizioni, così frustrando la ratio della riforma.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e si è soffermata sul riconoscimento della violenza economica come forma di maltrattamento contro familiari o conviventi.
Già nella sentenza n. 43960 del 2015, la Corte di Cassazione aveva affermato che l’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente costituisce una circostanza tale da integrare una forma di “violenza economica”, riconducibile alla fattispecie incriminatrice in esame, quando i correlati comportamenti vessatori siano suscettibili di provocane un vero e proprio stato di prostrazione psicofisica e le scelte economiche e organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, ma imposte unilateralmente, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza e prevaricazione psicologica.
Analogamente, con sentenza n. 6937 del 2022 la Corte di Cassazione aveva evidenziato che l’imposizione di una condotta di vita familiare fortemente influenzata al “risparmio domestico” accompagnata da un controllo spasmodico del coniuge da sconfinare in un vero e proprio regime, da causare alla persona offesa uno stato di ansia e frustrazione, può rientrare nella nozione di maltrattamenti.
Inoltre, con sentenza n. 10959 del 2016 le Sezioni Unite avevano rimarcato che l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario.
LA SOLUZIONE
In estrema sintesi, inserendosi in tale consolidato filone giurisprudenziale, i Giudici della Sesta Sezione Penale hanno affermato che “le condotte dell’imputato volte ad osteggiare la coniuge nella ricerca di un’attività lavorativa- sottoponendola peraltro ad un controllo degli spostamenti attraverso l’installazione di una telecamera sul perimetro esterno dell’abitazione-e a non consentirle di coltivare e sviluppare un quadro di relazioni con persone esterne alla famiglia; ad imporle un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripetizione di ruoli; a sottrarsi alla gestione domestica e familiare delegandone interamente le incombenze alla coniuge, così da non consentirle altra soluzione che quella di abbandonare le proprie ambizioni professionali ed essere da lui “mantenuta”; a non remunerare le attività svolte nell’interesse dell’azienda familiare, con il proprio arricchimento, costituiscono tutti comportamenti che sono obiettivamente finalizzati alla limitazione economica delle persona offesa”.
I Giudici hanno richiamato l’art. 3 lett. a) della Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, ai sensi del quale con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata, nonché la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, adottata il 25 ottobre 2012, la quale stabilisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato: i considerando 17 e 18- infatti- sottolineano l’importanza di riconoscere la violenza economica come uno strumento di controllo e coercizione all’interno delle relazioni familiari
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.