Violazione del divieto di avvicinamento: il consenso della vittima non esclude il reato

Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2025, sentenza n. 4936
“La volontà della vittima non può avere efficacia scriminante e/o esimente né portata liberatoria dagli obblighi.”
IL CASO
Il Tribunale del Riesame, adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., annullava l’ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari per il reato di cui all’art. 387 bis c.p. Secondo i Giudici, infatti, non sarebbero emersi gravi indizi di reità a carico dell’indagato, già destinatario della misura cautelare del divieto di dimora e del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, con specifica prescrizione di attenersi ad una distanza di almeno 500 m. dalla stessa anche in caso di incontro occasionale, dal momento che era stata la stessa persona offesa a recarsi spontaneamente presso l’abitazione dell’indagato.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame proponeva appello il Pubblico Ministero, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, atteso che la violazione delle prescrizioni della misura prevista dall’art. 282 ter, comma II, c.p.p. doveva, invece, considerarsi sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 387 bis c.p. L’indagato, infatti, non avrebbe dovuto permettere alla persona offesa di avvicinarsi, adottando comportamenti, non onerosi ed esigibili, come quello di richiedere l’intervento delle Forze dell’Ordine.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità attiene alla efficacia scriminante, o esimente, della volontà della persona offesa ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 387 bis c.p.
LA SOLUZIONE
La Sesta sezione, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ricorda che la misura prevista dall’art. 282 ter c.p.p. è volta alla tutela della vittima di violenza, creando intorno alla stessa una cintura di protezione atta ad impedire ogni possibile aggressione fisica o psicologica.
La Corte di Cassazione richiama, in proposito, gli artt. 52 e 55 della Convenzione di Istanbul e le disposizioni contenute nella direttiva UE 2024/1385: tutte prescrizioni tese alla tutela della vittima vulnerabile da ogni tipo di violenza, anche subdola o manipolatoria.
In tale contesto, l’esigenza di protezione dell’incolumità della persona offesa può spingersi sino alla privazione dei “poteri dispositivi” della stessa vittima. Occorre, infatti, assegnare priorità alla sicurezza delle vittime e delle persone in pericolo, anche a fronte di casi in cui detta priorità collida con la volontà delle stesse persone da proteggere.
Ne deriva che, nell’ipotesi in cui sia la stessa persona offesa ad avvicinarsi al destinatario della misura cautelare, quest’ultimo deve esercitare lo ius excludendi allertando le Forze dell’Ordine, trattandosi di un comportamento non gravoso e del tutto esigibile.
Pertanto, integra il delitto di violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa la condotta di chi consenta alla persona offesa di avvicinarsi, attesa l’esigibilità dell’esercizio dello ius excludendi e l’esigenza di conformarsi al criterio della priorità della sicurezza delle vittime e delle persone in pericolo, previsto dall’art. 52 della Convenzione di Istanbul.