Traffico illecito di rifiuti: natura di reato abituale proprio e nozione di ingente quantitativo

Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2025, sentenza n. 24722
LE MASSIME
“Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è un reato abituale in quanto richiede la necessaria realizzazione di più comportamenti della stessa specie. Nello specifico, ha natura di reato abituale proprio e si consuma con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito, poiché alcune delle condotte, singolarmente considerate, potrebbero non costituire reato”.
“La nozione di ingente quantitativo non risulta predefinita dal legislatore e deve essere desunta da una serie di variabili concrete quali la tipologia del rifiuto, la sua qualità e le situazioni specifiche di riferimento. L’ingente quantitativo necessario a configurare il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti deve riferirsi al quantitativo complessivo di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere qualificate di modesta entità”.
IL CASO
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui ricorsi proposti dagli imputati avverso la sentenza della Corte d’appello, la quale, confermata la responsabilità penale degli imputati per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art.452-quaterdecies c.p., ha rideterminato il trattamento sanzionatorio.
I difensori dei correi hanno proposto un motivo di ricorso comune per vizio di violazione di legge giacché la Corte d’appello ha dichiarato infondata la doglianza circa l’incompetenza territoriale del Giudice di prime cure.
I ricorrenti, infatti, sostengono che il reato contestato sarebbe un reato permanente, dato che la condotta illecita di gestione non autorizzata di rifiuti protrae i suoi effetti lesivi nel tempo.
Tale qualificazione incide sulla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria la quale, a norma dell’art. 8 comma 3 c.p.p., deve essere determinata in relazione al luogo e al momento di inizio della consumazione.
Peraltro la difesa ritiene debbano ritenersi irrilevanti successivi mutamenti dei criteri normativi di distribuzione funzionale e territoriale della competenza in quanto, il principio della precostituzione per legge del giudice di cui all’art. 25 della Costituzione presuppone che il giudice competente sia normativamente individuato al momento dell’inizio del fatto.
Icasticamente la competenza sarebbe spettata ad un altro Tribunale, poiché il reato proprio in quanto permanente, sarebbe iniziato nel 2009 e, quindi, durante lo stato di emergenza rifiuti.
I difensori, inoltre, deducono comunemente un ulteriore vizio di violazione di legge per errata interpretazione del contenuto dell’autorizzazione semplificata e della nozione di quantitativo ingente.
Nello specifico, l’attività di selezione di rifiuti multimateriali sarebbe stata conforme al provvedimento autorizzatorio, in quanto gli imputati erano legittimati al riutilizzo e alla messa in riserva non solo dei rifiuti di carta, cartone e cartoncini, ma anche di altre tipologie di rifiuti, quali plastica, vetro e ferro.
Tra l’altro, la ricezione di rifiuti provenienti da comuni fuori regione sarebbe stata altresì legittima, considerato che l’art. 5-bis d. l. 263 del 2006, convertito nella legge 290 del 2006, consentiva il recupero dei rifiuti urbani extra-regione in assenza di divieti espliciti.
Infine, il requisito del quantitativo ingente, necessario per la configurazione del reato in questione, sarebbe assente per la modesta entità delle tonnellate di rifiuti trattate in tre anni e per l’omessa dimostrazione di un allestimento organizzato di mezzi e attività continuative finalizzate ad attuare una pluralità di operazioni di gestione di tali rifiuti.
Un ultimo motivo di ricorso, presentato separatamente dai difensori degli imputati, contesta un vizio di motivazione sull’accertamento dell’elemento psicologico in capo ai correi, il quale sarebbe assente.
LA QUESTIONE
La questione affrontata dalla Suprema Corte ruota intorno alla natura del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti da cui dipendono il tempus commissi delicti e la determinazione della competenza territoriale in base ai principi generali del diritto processuale penale.
La giurisprudenza di legittimità maggioritaria sembra orientata sulla qualificazione di questo delitto come reato abituale, in quanto la norma incriminatrice presuppone il compimento di “più operazioni” e l’allestimento di “attività continuative”.
Ulteriore tematica rimessa all’attenzione dei Giudici concerne l’interpretazione dell’elemento normativo di “ingente quantitativo”, il quale rappresenta una clausola di chiusura impiegata dal legislatore di cui si sospetta il contrasto con il principio di legalità e, precisamente, con i suoi corollari della tipicità, della determinatezza e della tassatività.
L’utilizzo di questa clausola così elastica ed ampia lascia, infatti, uno spazio notevole all’interprete con un rischio anche di mancata prevedibilità da parte dei consociati circa gli effetti penali della condotta.
LA SOLUZIONE
La terza sezione penale della Corte di Cassazione con la decisione in esame ha dichiarato i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza, genericità e proposizione fuori dai casi consentiti.
In primo luogo, gli Ermellini statuiscono che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti non è qualificabile come reato permanente, bensì come reato abituale, così allineandosi all’indirizzo giurisprudenziale maggioritario secondo cui il tratto tipico del delitto in questione è costituito dalla reiterazione, ossia dal compimento di più comportamenti nel tempo della stessa specie (Cass. Sez. III, 3 novembre 2009, sentenza n. 46705).
Nello specifico, si tratta di un reato abituale proprio poiché le singole condotte che lo compongono potrebbero non integrare autonomamente un reato se considerate isolatamente, per cui si consuma con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito (Cass. Sez. III, 28 febbraio 2019, sentenza n. 16036).
Ne consegue che, per l’individuazione della competenza territoriale, non si applica il criterio del “luogo di inizio della condotta antigiuridica” previsto per i reati permanenti, ma quello del luogo in cui si è concretamente realizzata l’abitualità della condotta.
Nel caso di specie, quindi, la competenza è stata correttamente attribuita perché il reato si è prolungato fino al 2013, ossia anche dopo la cessazione dell’emergenza rifiuti.
In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che il requisito del “quantitativo ingente dev’essere riferito al quantitativo complessivo di rifiuti trattati mediante la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime siano di modesta entità (Cass. Sez. III, 11 ottobre 2016, sentenza n. 46950; Cass. Sez. III, 16 aprile 2019, sentenza n. 39952).
Tra l’altro, la Corte ha indicato, in maniera illuminante, i criteri interpretativi cui l’interprete può fare riferimento per accertare la presenza dell’elemento normativo, i quali vengono individuati nella tipologia e nella qualità del rifiuto, nonché nel contesto concreto in cui si inserisce la condotta. (Cass. Sez. III, 20 novembre 2007, sentenza n. 358).
Infine, è stato ritenuto infondato anche il motivo di ricorso attinente alla pretesa carenza di motivazione sull’elemento soggettivo in capo agli imputati.
La Corte, infatti, ha ritenuto pienamente condivisibili le argomentazioni della Corte d’appello, le quali non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità.
Nota a cura di Francesco Trimboli (Tecnico di amministrazione)