Traffico di influenze illecite e millantato credito

Cass. pen., Sez. VI, 13 marzo 2025, sentenza n. 10059
LA MASSIMA
“Tra la fattispecie di traffico di influenze illecite e quella di millantato credito non sussiste un rapporto di continuità punitiva quando si considera la condotta di colui che agisce vantando conoscenze, solo asserite, del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Detta condotta, al più, può rientrare entro la fattispecie di truffa, se formalmente contestata ed accertata in tutti i suoi elementi costitutivi. Sotto tale profilo, il soggetto richiedente l’intermediazione con il pubblico ufficiale non può più considerarsi punibile bensì persona offesa, perché inciso nella propria libertà negoziale.”
IL CASO
La vicenda in parola ha visto, in veste di imputati, due soggetti i quali, l’uno, era detenuto presso una nota casa circondariale lombarda, mentre l’altro era un agente di Polizia Penitenziaria, addetto all’ufficio area trattamentale dello stesso istituto. Quest’ultimo, come è stato accertato dalle sentenze di primo e secondo grado, era venuto a conoscenza del fatto che, all’interno del proprio ufficio, alcuni educatori erano soliti chiedere ai reclusi somme di denaro, al fine di fargli ottenere benefici penitenziari mediante la redazione di relazioni positive. L’agente, allora, aveva deciso di avanzare anch’esso una richiesta di denaro proprio al coimputato che, ignaro dell’esistenza di una relazione favorevole ad un percorso extramurario già redatta dall’educatrice assegnatagli, aveva accettato la richiesta dell’operante, al fine di ricevere una più rapida “gestione della pratica”.
La vicenda descritta, se originariamente era stata contestata come “Corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio”, ex art. 319 c.p., in relazione all’art. 312 c.p. – “Pene per il corruttore” – era stata poi riqualificata in “Traffico di influenze illecite”, di cui all’art. 346 bis c.p. Tale ricostruzione si fondava sul fatto che la redazione della relazione trattamentale esulava dalle attribuzioni dell’agente, dunque, egli mai avrebbe potuto onorare l’accordo corruttivo. La condotta illecita, allora, poteva solo configurarsi come vanteria di una certa relazione con l’educatore dell’istituto carcerario e per questo egli si era fatto promettere del denaro quale prezzo per la propria intermediazione.
Orbene, la vicenda processuale, in primo e secondo grado, si era conclusa con una pronuncia di condanna ai danni di entrambi gli imputati.
Il ricorrente, quindi, aveva presentato ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano, la quale aveva confermato l’assetto motivo di quella emessa dal Giudice di Prime Cure.
Il ricorrente, eccependo l’inosservanza dell’art. 2 c.p., in relazione alla parziale abolitio criminis del reato di traffico di influenze illecite, operata dalla legge n. 114 del 2024, aveva chiesto l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha compiuto talune precisazioni in merito alla fattispecie di traffico di influenze illecite, ex art. 346 bis c.p., andando, tuttavia, a distaccarsi dall’inquadramento normativo fornito dal Tribunale e dalla Corte di Appello.
La fattispecie è stata introdotta, per la prima volta, nel 2012, con la Legge n. 190, in attuazione degli impegni assunti dall’Italia con la sottoscrizione della “Convenzione contro la corruzione”, adottata nel 2003 e ratificata nel 2009. Nell’originaria formulazione, la fattispecie sanzionava colui che sfruttava la propria reale relazione con il pubblico ufficiale o con l’incaricato di pubblico servizio per la commissione della condotta tipica. Al contrario, quando la conoscenza del pubblico ufficiale o del pubblico impiegato era solo millantata, la condotta andava ad inquadrarsi entro la fattispecie di millantato credito, ex art. 346 c.p..
Successivamente, nel 2019, la Legge n. 3 ha riformulato la fattispecie di traffico di influenze illecite, rimodulando la fattispecie in una triplice direzione: innanzitutto, il millantato credito è stato abrogato
perché confluito nella nuova formulazione del delitto di cui all’art. 346 bis c.p.; in aggiunta, il legislatore ha ritenuto di dover eliminare l’inciso, nell’art. 346 bis c.p., in cui si faceva riferimento al “compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritorno di un atto del suo ufficio”. Ad ultimo, ha fatto venir meno la natura “patrimoniale” del vantaggio dato o promesso al mediatore, inserendo un generico “utilità”.
In ultima istanza, la norma ha subito nuovi adeguamenti nel 2024, con la Legge n. 114, adottando una terminologia restrittiva della fattispecie, dando vita ad un fenomeno di parziale abolitio criminis.
Il vigente assetto punitivo si riferisce alle sole relazioni esistenti, non consentendo più la punibilità del traffico di influenze illecite millantate. Dunque, tra l’agente ed il pubblico funzionario deve esistere una relazione effettiva e che viene, poi, utilizzata. Pertanto, tale impostazione ha comportato una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti commessi vantando relazioni asserite con il pubblico ufficiale.
LA SOLUZIONE
Ad avviso della Corte di Cassazione, le condotte accertate dovrebbero inquadrarsi entro la fattispecie di truffa, di cui all’art. 640 c.p..
Sul punto, le Sezioni Unite, pronunciatesi nel 2024, hanno statuito che non sussiste continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite, così come modificato nel 2019, ed il reato di millantato credito “corruttivo”, di cui all’art. 346, comma 2, c.p.. Le condotte di quest’ultima fattispecie, oggi, al più possono configurare il reato di truffa, purché siano formalmente contestati ed accertati gli elementi costitutivi diversa norma incriminatrice.
Specificamente, il fatto commesso prima del 2019 sarebbe potuto ben rientrare sia entro la fattispecie di traffico di influenze illecite sia in quella di truffa, da considerarsi eventualmente in concorso formale. Tuttavia, con l’abolizione del millantato credito “corruttivo”, l’imputato potrebbe essere chiamato a rispondere della fattispecie di cui all’art. 640 c.p.
Sul piano pratico, le sentenze di merito hanno avuto modo di accertare che, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con il pubblico ufficiale, educatore della casa circondariale, l’imputato appartenente alla Polizia Penitenziaria ha promesso all’altro di porre in essere un’intermediazione illecita, così da influire sul provvedimento trattamentale. Quindi astrattamente configurabile nel reato di traffico di influenze illecite. Tuttavia, dato che la relazione trattamentale era già esistente integralmente e definita in ogni parte già al momento dell’accordo illecito, l’oggetto dell’accordo sarebbe stato impossibile. Dunque, per il reato di traffico di influenze illecite, non è possibile punire l’agente, stante il dettato normativo di cui all’art. 49 c.p..
Tuttavia, l’esclusione dell’applicabilità del traffico di influenze illecite può lasciare che le condotte contestate si inquadrino entro la fattispecie di truffa, aggravata ai sensi dell’art. 61, n. 9, c.p.. Pertanto, da tale qualificazione, si deve affermare che al detenuto, perché soggetto raggirato, deve attribuirsi la “qualifica” di persona offesa del reato di truffa perché inciso nella propria libertà negoziale. Dunque, egli non sarà certamente punibile.
Segnalazione a cura di Francesca De Nuntiis