Stato di necessità e sottrazione del minore

Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 2025, sentenza n. 2694
LA MASSIMA
“Considerato che, per principio generale, lo stato di necessità non è configurabile nel caso in cui il soggetto che lo invochi possa sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione dell’Autorità, ove tale soluzione alternativa si prospetti come realmente praticabile ed efficace a neutralizzare la situazione di pericolo attuale in cui l’agente o il terzo destinatario della minaccia versa, la mancanza di obiettivi riscontri della condotta maltrattante dell’ex compagno della madre e l’irrilevanza di mere difficoltà lavorative e abitative non giustificano il trasferimento all’estero del minore, contro la volontà dell’altro genitore”.
IL CASO
La Corte di Appello ha confermato la condanna dell’imputata per il reato di sottrazione e trattenimento del minore all’estero di cui all’art. 574-bis del codice penale.
L’imputata era stata accusata di aver sottratto la figlia minore, in concorso con l’altra figlia, nata da precedente relazione, per recarsi in Polonia, contro la volontà dell’altro genitore, impedendo a quest’ultimo di esercitare la potestà genitoriale.
In seguito alla cessazione della convivenza tra la ricorrente e il suo compagno, la bambina era stata affidata dal Tribunale ,in via esclusiva, alla madre con diritto di visita del padre e conseguente divieto di allontanare la minore dall’abituale domicilio senza il consenso di entrambi i genitori.
Tuttavia, successivamente, la ricorrente, insieme alle sue due figlie, spariva recandosi in Polonia.
In seguito a codesto allontanamento arbitrario ad opera della madre, il Tribunale provvedeva ad affidare la bambina in via esclusiva al padre, il quale presentava varie denunce in ordine alla sottrazione della figlia.
Il giudice di prime cure aveva assolto la figlia dell’imputata, nata da una precedente relazione, per non aver commesso il fatto, dichiarando contestualmente la penale responsabilità della madre, ritenendo, in particolare, infondata la tesi difensiva dello stato di necessità, in quanto non rilevabile in concreto una situazione di reale pericolo di un danno grave alla incolumità della ricorrente e dell’altra figlia ed erano emerse, piuttosto, delle difficoltà fronteggiabili sempre rimanendo in Italia, quali, ad esempio, problemi inerenti alla situazione lavorativa e all’alloggio.
Avverso la condanna di secondo grado, ha proposto ricorso in Cassazione il difensore dell’imputata sollevando vari motivi, quali: l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 574-bis cod. pen.; mancanza degli elementi oggettivi e soggettivi, ai fini della configurazione del reato, oltre che mancanza, contradditorietà o illogicità della motivazione.
La difesa sostiene che l’imputata è stata costretta ad allontanare la minore per esigenze legate alla necessità di salvarla dal pericolo attuale e futuro di danno grave alla persona in merito a degli episodi di maltrattamenti sulla bambina perpetrati ad opera del di lei padre, nonché percosse o lesioni attuate sulla ricorrente in presenza della minore, oltre alla mancanza di assistenza morale ed economica e di cure da parte dell’altro genitore.
LA QUESTIONE
L’invocato stato di necessità scrimina la condotta di sottrazione e trasferimento all’estero del minore?
LA SOLUZIONE
La Corte ritiene complessivamente infondato il ricorso.
La ricorrente ha contestato la configurabilità del reato a suo carico, citando, impropriamente, un precedente della giurisprudenza civile di legittimità in materia di affidamento di minori (Sez. 1 civ., ordinanza n. 27142 del 12/05/2021). Pertanto, la Suprema Corte, a tal proposito, precisa che in quel contesto non si versava nell’ipotesi di contenzioso per la sottrazione di minore.
Invero, anche la doglianza, meramente reiterativa e aspecifica, relativa alla circostanza del successivo affidamento esclusivo della minore alla ricorrente, è stata considerata irrilevante in quanto, citando un precedente giurisprudenziale della stessa Corte (Sez. 6, n. 17679 del 31.03.2016) questa, affermava che erano stati ritenuti privi di significato i provvedimenti successivi alla sottrazione assunti dallo Stato in cui il minore era stato trasferito.
Per quanto concerne l’allontanamento arbitrario anch’esso è, parimenti, meramente reiterativo e aspecifico in quanto la Corte ha ritenuto il reato integrato nell’illecito “trattenimento” all’estero del minore.
Il secondo motivo, volto a censurare la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l’esimente della legittima difesa, risulta essere privo di fondamento. Inoltre, la ricorrente aveva già ,in primo grado, invocato l’esimente dello stato di necessità (e non la legittima difesa) a giustificazione della propria condotta.
Si rileva, come del resto già stato fatto in primo grado, la mancanza di obiettivi riscontri della condotta maltrattante dell’ex compagno denunciata dalla ricorrente e, dall’altra parte la irrilevanza di mere difficoltà lavorative e abitative a giustificare il trasferimento all’estero. Inoltre, in secondo grado è stato rilevato che, in ogni caso, non poteva giustificare il trasferimento all’estero la condotta maltrattante dell’ex compagno, ed erano stati allertati i servizi sociali a tutela della donna e del di lei nucleo familiare. La Corte di appello ha correttamente richiamato il principio di diritto in tema di cause di giustificazione, secondo cui lo stato di necessità non è configurabile nel caso in cui il soggetto che lo invochi possa sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione dell’Autorità, ove tale soluzione alternativa si prospetti come realmente praticabile ed efficace a neutralizzare la situazione di pericolo attuale in cui l’agente o il terzo destinatario della minaccia versa.
In merito al reato di cui all’art. 574-bis cod. pen. è stata affrontata anche la questione relativa al dolo che è ritenuto essere generico, ossia caratterizzato dalla coscienza e volontà di sottrarre il minore all’altro genitore esercente la responsabilità genitoriale e di trattenerlo presso di sé contro la volontà dell’altro.
Viene, inoltre, contestata la mancata assunzione di prove decisive e la mancata valutazione di prove rilevanti, acquisite agli atti del fascicolo del dibattimento. La Suprema Corte di Cassazione considera le prove menzionate come irrilevanti e non decisive ai fini della sentenza in quanto la ricorrente non giustifica l’importanza delle prove non assunte.