Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Spaccio di lieve entità e particolare tenuità del fatto: differenze e requisiti

Cass. pen., Sez. IV, 17 aprile 2025, sentenza n. 15229
LA MASSIMA
“In tema di stupefacenti, la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concessione della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono invece essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo, nonché il carattere non abituale della condotta”.
“Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo”.
IL CASO
La Corte d’Appello territorialmente competente, confermando la sentenza del Tribunale di primo grado ha dichiarato l’imputato responsabile in relazione al reato di cui all’art. 73, co. 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver illecitamente detenuto per la cessione a terzi di una quantità di sostanza stupefacente per il peso complessivo di 11 grammi, aggravato dalla recidiva specifica infraquinquennale.
Soluzione, questa, avverso la quale l’imputato deduce due motivi di ricorso: il primo inerisce la mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p., vista l’esiguità dell’offesa per come emersa dalle risultanze istruttorie di primo grado e il comportamento collaborativo tenuto dal oggetto nei confronti degli agenti operanti (fatto riconosciuto anche dallo stesso Giudice di prime cure; il secondo riguarda la determinazione della pena in relazione ai parametri di cui all’art. 133 c.p.
LA QUESTIONE
Il punto fondamentale sul quale la Corte di Cassazione nella sentenza in epigrafe è stata chiamata a pronunciarsi involge il rapporto bilatero tra tenuità del fatto e fattispecie di lieve entità e riguarda, nello specifico, l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. e i rapporti di questo con la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, co. 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Quest’ultima disposizione, elevando l’entità del fatto a presupposto di un più mite trattamento sanzionatorio, prevede l’irrogazione di pene più miti per i fatti previsti dall’art. 73, Testo Unico stupefacenti quando questi risultino di lieve entità per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze.
Per quanto riguarda la prima delle disposizioni a confronto, invece, con D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, il Legislatore ha introdotto l’art. 131 bis c.p., il quale contiene una disciplina di natura sostanziale che, in presenza di determinati presupposti, esclude a monte la punibilità delle condotte caratterizzate da particolare tenuità allo scopo primario di espungere dall’orbita del penalmente rilevante fatti marginali che non mostrano bisogno di pena.
In linea teorica e avendo riguardo alla formulazione codicistica, il fatto di lieve entità in materia di stupefacenti è sussumibile nell’ambito applicativo della causa di non punibilità per articolare tenuità del fatto in quanto il minimo edittale ivi previsto non supera la soglia di sbarramento di cui all’art. 131 bis c.p. Anche da punto di vista lessicale i concetti espressi dalle due disposizioni in esame risultano in parte sovrapponibili.
Pur se non incompatibili in astratto, tuttavia, i due istituti rimangono autonomi e separati. I due concetti operano, infatti, su piani logici e sistematici diversi: la lieve entità descrive in astratto la tipicità normativa che il legislatore ha voluto calibrata su caratteri di entità delle modalità di verificazione della condotta qualificate da una minor carica offensiva rispetto alle condotte delle ipotesi base dell’art. 73 T.U. stupefacenti; la particolare tenuità del fatto, invece, guarda ad un fatto concretamente offensivo che, tuttavia, non supera quella soglia di offensività che lo renderebbe meritevole di punizione.
LA SOLUZIONE
È proprio a partire da queste considerazioni che la pronuncia in oggetto afferma che la censura del ricorrente non si confronta con la congrua e logica motivazione dei giudici di merito in merito all’esclusione della causa di non punibilità relazione alla personalità dell’imputato, ai precedenti specifici, alla non occasionalità del comportamento illecito e alle concrete modalità della condotta.
La Corte, motivando sul punto, richiama il principio di diritto che afferma la distinzione strutturale e teleologica tra le fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5 D.P.R. 309/1990 e la causa di non punibilità contenuta nell’art. 131 bis c.p. soffermandosi sulla differenza tra i presupposti che il giudice deve valutare per l’applicazione dell’una o dell’altra fattispecie. Laddove, per la qualificazione del fatto in termini di lieve entità, il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono invece essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo, nonché il carattere non abituale della condotta
Sulla scorta di tali premesse ermeneutiche la Cassazione ritiene non censurabili le valutazioni di responsabilità emesse dai giudici di merito.
A cura di Davide Venturi