Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cass. pen., Sez. II, 2 gennaio 2025, sentenza n. 47
LA MASSIMA
“È configurabile il concorso formale tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale, atteso che le fattispecie incriminatrici non regolano la stessa materia ex art. 15 c.p., in ragione della diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti, dall’altro), della diversità strutturale, della natura giuridica (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) e del profilo soggettivo (dolo specifico, quanto alla prima, dolo generico quanto alla seconda”.
IL CASO
La vicenda fattuale posta al vaglio della Seconda Sezione della Cassazione trae origine da un procedimento cautelare reale in cui il giudice per le indagini preliminari – con ordinanza confermata a seguito del rigetto dell’istanza di riesame avanzato dalla difesa – aveva adottato nei confronti degli imputati e della struttura societaria ad essi riconducibile il sequestro preventivo in funzione di confisca diretta e per equivalente, avente ad oggetto beni sottratti ad una società fallita.
Il provvedimento ablatorio si fonda dall’accertata sussistenza ai capo ai prevenuti del fumus dei reati di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ex art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 74/2000, autoriciclaggio 648-ter.1 c.p. e bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, artt. 216, comma 1, n. 1 e 223 del R.D. n. 267/1942, per aver proceduto, da un lato, alla costituzione di una nuova impresa deputata all’emissione di fatture sottese a false operazioni commerciali e rispondenti allo scopo di svuotare la precedente società in fase di decozione, e, dall’altro, per aver realizzato condotte atte a rendere difficile o impedire la riscossione di crediti fiscali gravanti sull’azienda fallita.
Avverso la misura cautelare proponeva ricorso per cassazione la difesa, articolato in una pluralità di motivi di gravame.
Per quanto qui d’interesse, si deduceva violazione di legge consistente nella configurazione del concorso formale tra l’illecito tributario ed il reato di bancarotta, in luogo del concorso apparente di norme, ex art. 15 c.p., con applicazione della sola disposizione speciale da individuarsi nella norma incriminatrice in materia di bancarotta.
Secondo la tesi del ricorrente, le condotte inerenti all’illecito tributario di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, si innestano e vengono assorbite dalla complessità strutturale delle previsioni normative posta a contrasto delle condotte di fallimento, in ragione dell’esistenza di un rapporto di specialità unilaterale a favore di quest’ultime.
LA QUESTIONE
Con la sentenza che qui si annota, la Cassazione torna confrontarsi con una tematica che presenta molteplici ragioni di interesse ed un’attenzione sempre viva del formante giurisprudenziale – atteso l’elevato numero di pronunce in merito – che, tuttavia, fa registrare soluzioni non sempre univoche.
La questione di diritto attiene alla possibilità, o meno, di configurare un concorso formale eterogeneo tra la fattispecie incriminatrice di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000, ed il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sanzionato dagli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223, comma 1, del R.D. n. 267/1942.
LA SOLUZIONE
Investita della cognizione del ricorso, il collegio giudicante, dopo aver dato atto dell’esistenza di un quadro giurisprudenziale non uniforme, respinge le deduzioni difensive con un’argomentazione succinta – ma non per questo reticente, tenuto conto dell’evidente rinvio ai precedenti sul punto – e conclude per la sussistenza del concorso formale tra le ipotesi accusatorie sostenute dall’accusa.
La decisione, muovendo da una rapida ricognizione del panorama dottrinale e della casistica giurisprudenziale, dà atto dell’esistenza sul tema de qua di due diverse opzioni ermeneutiche.
In adesione ad un primo filone, fatto proprio dalla difesa, il problema deve essere risolto facendo applicazione del principio di specialità previsto dall’art. 15 c.p., con l’effetto di individuare la norma speciale all’esito di un confronto strutturale tra le fattispecie astratte e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle.
Declinando tali coordinate ermeneutiche nel caso di specie, deve concludersi per l’assorbimento del reato di sottrazione al pagamento delle imposte in quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Queste, in sintesi, le argomentazioni esposte.
Un primo elemento è da rintracciare nella maggiore gravità della fattispecie incriminatrice fallimentare, stante la previsione di un limite edittale più elevato rispetto a quello previsto dall’art. 11 dlgs. n. 74/2000.
L’altro profilo investigato attiene alla medesimezza della condotta e della finalità, atteso che gli “atti fraudolenti” al pagamento delle imposte ben possono costituire un momento di una strategia distrattiva complessiva, finalizzata a danneggiare coloro che avrebbero titolo a soddisfarsi sui beni sottratti.
Vi sarebbe, quindi, una perfetta sovrapponibilità delle condotte tipiche, le quali realizzerebbero un continuum che sarebbe arbitrario frantumare.
A giudizio dell’orientamento maggioritario, nel cui solco s’inserisce la pronuncia in rassegna, deve concludersi per il riconoscimento di un concorso formale tra le due previsioni incriminatrici, in ragione del ricorrere di un’ipotesi di “specialità bilaterale”.
L’orientamento in questione, all’esito del confronto strutturale tra le fattispecie, nega l’invocata l’operatività della previsione codicistica dell’art. 15 c.p. e la prevalenza del reato penal-fallimentare su quello penal-tributario.
Un primo elemento discretivo è da individuarsi nella diversità degli interessi pregiudicati dalle condotte sanzionate: il corretto funzionamento della procedura di riscossione coattiva, nel caso dell’art. 11 cit., l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti, nell’ambito della disciplina fallimentare.
Tale profilo, a giudizio degli ermellini, costituisce la principale ragione che impedisce di configurare un concorso apparente tra gli artt. 11 e 216, a tutto vantaggio di un giudizio di “maggiore specialità” della previsione incriminatrice penal-tributaria.
Gli altri indici (non per questo residuali) che conducono ad escludere un giudizio di medesimezza della materia ex art. 15 c.p. attengono alla natura giuridica, all’elemento soggettivo, nonché alla qualifica soggettiva.
Con riferimento alla natura, la Corte statuisce che il delitto tributario si connota come reato di pericolo, mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di danno.
Per quanto attiene al requisito psicologico, la pronuncia in esergo contrappone il dolo specifico, previsto per il reato fiscale, al dolo generico, richiesto per la condotta penal-fallimentare.
Le differenze esposte, si legge nella parte motiva, sono idonee ad escludere, altresì, l’applicabilità dell’art. 84 c.p., alla quale osterebbe la diversità in ordine all’ultimo profilo strutturale della soggettività attiva dei due reati, più ristretta in quella di bancarotta (l’imprenditore dichiarato fallito ovvero per estensione soggettiva gli organi amministrativi) più ampia in quella fiscale (ogni contribuente ancorché non imprenditore)
In ragione di tali osservazioni ed alla luce del suesposto iter argomentativo, la Corte, destrutturando le argomentazioni difensive, ha concluso per la configurabilità di un concorso formale tra reati, avvinti dalla continuazione di cui all’art. 81 c.p., e, per l’effetto, ha dichiarato infondato il motivo di ricorso.