Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Sostituzione di persona e false attestazioni a un pubblico ufficiale

Cass. pen., Sez. II, Sent., 13 maggio 2025, sentenza n. 18101

LA MASSIMA

“Il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 c.p. ha carattere sussidiario, sicché allorquando l’induzione in errore, al fine di vantaggio o danno, è commessa mediante l’attribuzione di un falso nome in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico, ovvero all’autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall’art. 495 c.p., restando assorbito quello di sostituzione di persona. Tuttavia, si ha concorso materiale di reati quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti, cioè di condotte diverse e separate.”

IL CASO

Un soggetto veniva imputato per aver reso, in momenti distinti, dichiarazioni false circa la propria identità e qualità personali, prima dinanzi a un pubblico ufficiale e poi in sede giudiziaria, al fine di trarre vantaggio.

La difesa sosteneva l’assorbimento della fattispecie di cui all’art. 494 c.p. in quella più grave di cui all’art. 495 c.p. invocando la natura sussidiaria della prima.

Il giudice di merito aveva però ritenuto sussistente un concorso materiale di reati, poiché le condotte risultavano plurime e distinte nel tempo.

LA QUESTIONE

La questione interpretativa sottoposta alla Corte di Cassazione è se, in presenza di più dichiarazioni mendaci rese in contesti diversi, possa operare il principio di assorbimento tra le fattispecie di cui agli artt. 494 e 495 c.p., oppure se deve ritenersi integrato un concorso materiale di reati ex art. 81, comma 1, c.p..

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando il principio secondo cui il delitto di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p. ha carattere sussidiario rispetto ad altre figure di reato che tutelano la fede pubblica, come l’art. 495 c.p. Tuttavia, tale sussidiarietà opera solo in presenza di un unico fatto, ossia quando la condotta dell’agente sia unitariamente riconducibile a entrambe le fattispecie.

Nel caso di specie, invece, si era in presenza di una pluralità di condotte, poste in essere in momenti diversi e nei confronti di soggetti differenti (pubblico ufficiale e autorità giudiziaria), con modalità autonome e finalità specifiche. La Corte ha quindi escluso la possibilità di un assorbimento tra le fattispecie, ritenendo sussistente un concorso materiale di reati ai sensi dell’art. 81, comma 1, c.p.

La decisione si fonda sulla distinzione tra l’assorbimento, che presuppone un fatto unico e complesso, capace di essere sussunto sotto più norme incriminatrici, ma sanzionato solo secondo quella più grave e il concorso materiale, che si verifica in presenza di più azioni autonome, ciascuna delle quali integra in sé tutti gli elementi costitutivi di uno specifico reato.

La Corte ha ribadito che la tutela della fede pubblica richiede di valutare attentamente il contesto delle dichiarazioni mendaci, distinguendo tra la falsità che si esaurisce in un episodio isolato e quella che si articola in più manifestazioni ingannevoli nel tempo, capaci di determinare una lesione autonoma dell’affidamento riposto nei pubblici poteri.

In conclusione, è stata confermata la configurabilità del concorso materiale tra i reati di cui agli artt. 494 e 495 c.p., in quanto la condotta dell’agente si è articolata in più dichiarazioni mendaci, rese in contesti differenti e con finalità distinte, ciascuna delle quali ha prodotto una lesione autonoma dell’interesse giuridico tutelato. La Corte di Cassazione ha così ribadito un principio fondamentale in materia di falsità personali: la pluralità di atti falsi, anche se connessi sotto il profilo del disegno criminoso, non consente l’assorbimento di una fattispecie nell’altra, qualora le condotte siano separabili sul piano fattuale e giuridico.

La sentenza conferma un orientamento ormai consolidato, volto a contrastare con rigore i fenomeni di manipolazione identitaria, specie quando posti in essere in ambito pubblico o giudiziario, e valorizza la funzione della pena anche sotto il profilo della effettiva risposta sanzionatoria rispetto a reati che ledono la fiducia nella veridicità delle dichiarazioni rese ai pubblici poteri.

Tale pronuncia assume particolare rilievo nella prassi giudiziaria, in quanto evita che il principio di sussidiarietà si trasformi in uno strumento di deresponsabilizzazione, soprattutto nei casi in cui la reiterazione delle condotte false costituisce parte integrante di un disegno criminoso più ampio. L’autonomia delle condotte comporta quindi un’autonomia delle risposte sanzionatorie.

A cura di Mariangela Miceli