Corte Costituzionale, Diritto Penale, Sentenze

Sequestro di persona: costituzionalmente legittima la procedibilità d’ufficio nei confronti del coniuge

Corte Cost., 6 febbraio 2025, sentenza n. 9

IL DISPOSITIVO

La Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Grosseto con l’ordinanza indicata in epigrafe.

IL CASO
La vicenda trattata riguarda un caso di sequestro aggravato compiuto da un uomo ai danni della moglie, dalla quale si era separato di fatto da qualche mese, e il nuovo compagno di lei di fronte all’abitazione di quest’ultimo. Proprio qui si sarebbero consumati i reati, dal momento che l’uomo avrebbe puntato contro di loro una pistola, costringendoli a entrare in casa, e avrebbe poi richiuso la porta alle proprie spalle. A questo punto sarebbero iniziate le minacce di morte e i ripetuti colpi alla testa con il proprio casco. Dopo diversi minuti, la donna sarebbe riuscita a convincerlo a desistere e ad aprire la porta di casa, in modo tale da recuperare il proprio telefono e chiamare i soccorsi.
Il giudice a quo ritiene che i fatti così ricostruiti integrino delitti di sequestro di persona aggravato ai sensi dell’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen., perché commesso in danno del coniuge, di violazione di domicilio commessa mediante violenza alle persone e da persona palesemente armata (art. 614, quarto comma, cod. pen.) e di lesioni personali aggravate perpetrate in danno del coniuge e mediante l’uso di armi (artt. 582, 585 e 577, primo comma, numero 1, cod. pen.). Al contrario, non viene integrata l’ipotesi di delitto di minaccia grave che dovrebbe essere considerato assorbito in quello di sequestro di persona.
Tuttavia, entrambe le persone offese hanno rimesso la querela nei confronti dell’imputato, avendo quest’ultimo provveduto al risarcimento del danno.
Il giudice rimettente dubita, anzitutto, della compatibilità con l’art. 3 Cost. della omessa estensione della procedibilità a querela alla ipotesi in cui il sequestro di persona sia commesso in danno del coniuge.
Mentre, infatti, d.lgs. n. 150 del 2022 ha reso in via generale il sequestro di persona procedibile a querela di parte, la procedibilità d’ufficio è stata mantenuta in una serie di ipotesi aggravate, tra cui quella in cui il reato viene perpetrato nei confronti del coniuge. L’estensione del regime di procedibilità a querela anche ai reati contro la persona è stato giustificato in chiave di incentivo alla riparazione dell’offesa e alla definizione anticipata del procedimento penale attraverso, segnatamente, la remissione della querela. Con specifico riguardo alle ipotesi di sequestro di persona, la relazione segnala che spesso tale reato presenta nella prassi una ridotta offensività. La scelta del legislatore di conservare la procedibilità d’ufficio nel caso in cui ricorra l’aggravante di cui all’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen. sarebbe, pertanto, priva di una ragionevole giustificazione. Il bisogno di favorire il bonario componimento tra le parti coinvolte ricorrerebbe, a maggior ragione, quando si tratta di stretti congiunti, in modo da garantire l’unità familiare, quale valore di rango costituzionale.
In ogni caso, il giudice a quo sostiene che l’esigenza di tutelare le persone esposte a un rischio di condizionamento non sarebbe comunque ravvisabile nei casi di coniugi non più conviventi al momento del fatto, dal momento che la posizione di vulnerabilità del coniuge è legata proprio al rapporto di convivenza.
La disciplina censurata si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 76 Cost. In relazione all’art. 605 c.p. in quanto il legislatore delegato non si sarebbe attenuto ai criteri fissati dalla legge delega, in particolare alla previsione che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si tenesse conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d’ufficio in caso di incapacità della persona offesa, per età o infermità. La ratio era quella di estendere il più possibile il regime di procedibilità a querela, impedendo che la contestazione di un’aggravante rendesse automaticamente il reato procedibile d’ufficio.

LA QUESTIONE
La Corte non ha condiviso quanto è stato addotto dal remittente.
Viene esaminata, innanzitutto, la censura formulata in riferimento all’art. 76 Cost. pervenendo alla conclusione che il legislatore delegato ha scelto di circoscrivere l’estensione del regime di punibilità a querela ai soli fatti la cui pena detentiva non è superiore nel minimo a due anni e di mantenere invece il previgente regime per le ipotesi aggravate ai sensi dei commi successivi dell’art. 1, comma 15, lettera b), della legge 27 settembre 2021, n. 134, non eccedendo in tal modo dai limiti della propria discrezionalità nell’attuazione della delega.
Non risulta fondata nemmeno la questione formulata in merito all’art. 3 Cost.
Il non voler estendere la procedibilità a querela alla specifica ipotesi aggravata del fatto commesso nei confronti del coniuge appare agevolmente riconducibile alla necessità di tener conto delle particolari esigenze di tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari. In tale situazione la parte è strutturalmente esposta al rischio di subire pressioni da parte dell’autore del reato o di altri familiari, sia affinché non denunci gli episodi di violenza subiti, sia affinché ritratti le accuse in un momento successivo.
La Corte sostiene, inoltre, che anche quando la convivenza viene meno, la persona più vulnerabile del rapporto continua a essere esposta alle condotte violente o comunque sopraffattorie del proprio coniuge o ex coniuge, al più esasperate dalla frustrazione e dalla rabbia derivanti dalla rottura della relazione.

LA SOLUZIONE

La Corte sostiene la ragionevolezza delle scelte compiute dal legislatore delegato, alla luce delle medesime motivazioni che suggeriscono in generale di prevedere la procedibilità d’ufficio per ogni forma di violenza fisica maturata in contesti domestici o di relazioni affettive.
Viene richiamata, altresì, la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, che vieta agli Stati che ne sono parte di subordinare alla querela della parte i procedimenti penali per i reati di violenza fisica contro questa tipologia di persone offese, e stabilisce che il processo penale debba continuare anche quando la vittima ritiri la propria denuncia. Con tale riferimento si sottolinea l’obbligo a carico del legislatore, in forza dell’art. 117, primo comma, Cost., di prevedere la procedibilità d’ufficio anche per il delitto di sequestro di persona commesso in danno del coniuge.
L’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte.
Di questa basilare esigenza ha tenuto conto il legislatore delegato, prevedendo la procedibilità d’ufficio del sequestro di persona commesso nei confronti del coniuge; senza con ciò porsi in contraddizione alcuna con i criteri generali che hanno ispirato il suo intervento in materia di ridefinizione del novero dei delitti procedibili a querela.