Scrittura privata conclusa sotto minaccia: è estorsione consumata anche senza pagamento

Cass. pen., Sez. II, 30 gennaio 2025, sentenza n. 6771
LA MASSIMA
“Configura il reato di estorsione consumata, e non tentata, il rilascio di una scrittura privata, avvenuto sotto minaccia, nella quale la persona offesa si dichiara di essere debitrice di una determinata somma, in realtà non dovuta, e si impegna a restituirla alle scadenze indicate, in quanto il conseguimento di un atto autonomamente produttivo di effetti giuridici costituisce esso stesso l’evento del reato”.
IL CASO
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla sentenza della Corte di appello di Torino, la quale ha confermato la sentenza di primo grado di condanna degli imputati ai reati, rispettivamente ascritti, di estorsione tentata e consumata continuata e in concorso.
Avverso tale sentenza, gli imputati, per mezzo del comune difensore, hanno presentato ciascuno proprio ricorso per cassazione, deducendo motivi di ricorso riportati in sentenza nei limiti dello strettamente necessario per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att.
In sintesi, i ricorrenti hanno dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione, contestando l’illogicità della sentenza e il travisamento per omissione di prove ritenute decisive. Negli ulteriori motivi di impugnazione, i ricorrenti hanno eccepito la violazione di legge in relazione agli artt. 110 e 629 c.p., in ragione del concreto atteggiamento tenuto da essi nella dinamica dei fatti contestati.
LA QUESTIONE
La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla configurabilità in termini di delitto consumato e non meramente tentato dell’ipotesi di una scrittura privata, firmata sotto minaccia, relativa al riconoscimento di un debito inesistente.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi proposti, per genericità e infondatezza dei motivi di gravame, confermando il provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità, nella trattazione congiunta dei ricorsi, si è soffermato sulla corretta qualificazione giuridica della condotta contestata ai ricorrenti e sul conseguente lamentato vizio di motivazione, evocato dai ricorrenti in modo generico ed aspecifico.
Al riguardo, la Suprema Corte, richiamando il proprio precedente orientamento, ha avuto modo di precisare che nell’ipotesi di rilascio sotto minaccia di una scrittura privata, nella quale la persona offesa si dichiara di essere debitrice di una determinata somma, in realtà non dovuta, e si impegna a restituirla alle scadenze indicate, è configurabile il delitto di estorsione consumato – e non tentato – in quanto il conseguimento di un atto autonomamente produttivo di effetti giuridici costituisce esso stesso l’evento del reato.
Infine, la Corte si è soffermata sull’inammissibilità dei ricorsi, in quanto fondati sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, nonché in ragione dell’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate nel provvedimento impugnato, sia in ragione della genericità delle doglianze che, così come prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato.