Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Risarcimento del danno effettuato dal terzo

Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2025, sentenza n. 18403
LA MASSIMA
“La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la natura squisitamente soggettiva dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., soprattutto dal lato psicologico e volontaristico, ossia della condotta del colpevole dopo la commissione del reato, fa sì che essa non possa essere riconosciuta quando il risarcimento del danno sia avvenuto ad opera di un terzo. Si è, pertanto, esclusa la ravvisabilità della circostanza nelle ipotesi di:
– recupero della refurtiva da parte della polizia;
– ⁠risarcimento del danno sofferto dalla vittima del reato a cui avevano provveduto i familiari dell’imputato ovvero il datore di lavoro.
Mentre, in materia di assicurazione obbligatoria, questa Corte ha chiarito che il risarcimento del danno eseguito dal terzo assicuratore deve ritenersi effettuato dall’imputato, anche se soggetto diverso dall’assicurato, a condizione che questi ne abbia avuto conoscenza e abbia mostrato la volontà di farlo proprio”.
IL CASO
La vicenda de quo prende le mosse da una sentenza della Corte d’Appello che, confermando il decisum del giudice di prime cure, condanna il ricorrente per rapina aggravata, previa esclusione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p.
Avverso il predetto provvedimento, la difesa propone ricorso per l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 62, n. 6 e 62bis c.p., contestando, altresì, il difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
In particolare, il ricorrente eccepisce il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno in quanto effettuato dal difensore e in assenza di elementi dai quali desumere che l’imputato abbia inteso farlo proprio. A giudizio della difesa, al contrario, l’offerta risarcitoria accettata dalla persona offesa, deve essere attribuita alla personale volontà dell’imputato, avendo il difensore agito in nome e per conto del proprio assistito in forza della procura speciale che gli riconosceva esplicitamente il potere di transigere il danno.
Inoltre, il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione, giustificato sulla base delle pendenze giudiziarie dello stesso. A suo giudizio, non è stata adeguatamente presa in considerazione la sua condotta post-fattuale e le sue condizioni personali.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Corte Suprema attiene all’individuazione della natura giuridica e dei presupposti per l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., con particolare riferimento alla possibilità di riconoscere l’intervenuto risarcimento, in favore della persona offesa, in caso di pagamento da parte del difensore dell’imputato.
LA SOLUZIONE
Nella sentenza in esame, la Cassazione ritiene inammissibile e infondato il ricorso. Preliminarmente, chiarisce che il difensore non risulta aver devoluto alla Corte territoriale la questione relativa al
mancato riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62, n. 6, c.p., essendosi limitato, con l’atto d’appello, a chiedere il riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione e il contenimento della pena al minimo, a tal fine valorizzando il fatto che l’imputato avesse ammesso gli addebiti e risarcito la persona offesa.
Nel giudizio d’appello, si è rilevato che le circostanze evocate dalla difesa a sostegno del gravame fossero insussistenti in quanto il risarcimento effettuato dal difensore, come già specificato dal primo giudice, non può essere valorizzato né come attenuante specifica né come attenuante generica. L’ammissione dell’addebito, inoltre, non era mai stata formalizzata nel corso del giudizio in cui l’imputato era, difatti, risultato assente.
In ogni caso, la Cassazione ritiene infondati entrambi i motivi di ricorso. Quanto al primo, precisa che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere la natura squisitamente soggettiva dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., soprattutto dal lato psicologico e volontaristico, ossia della condotta del colpevole dopo la commissione del reato. Tanto comporta che la stessa non possa essere riconosciuta quando il risarcimento del danno sia avvenuto ad opera di un terzo (Cass. IV Sez., 15 gennaio 1988, n. 8002; Cass. VI Sez., 11 maggio 1978, n. 14192; Cass. II Sez., 14 gennaio 1984, n. 4438).
Si è, peraltro, esclusa la ravvisabilità della circostanza sia nell’ipotesi di recupero della refurtiva da parte della polizia (Cass. II Sez., 15 maggio 1984, n. 116; Cass. II Sez., 13 gennaio 2010, n. 3998), sia in fattispecie in cui i familiari dell’imputato, ovvero il datore di lavoro, avevano provveduto al risarcimento del danno sofferto dalla vittima del reato (Cass. VI Sez., 25 marzo 2010, n. 12621; Cass. V Sez., 2 febbraio 2011, n. 14461). In materia di assicurazione obbligatoria, la stessa Corte ha chiarito che il risarcimento del danno eseguito dal terzo assicuratore deve ritenersi effettuato dall’imputato, anche se soggetto diverso dall’assicurato, a condizione che questi ne abbia avuto conoscenza e abbia mostrato la volontà di farlo proprio (Cass. IV Sez., 14 dicembre 2022, n. 12121; Cass. IV Sez., 2 marzo 2011, n. 14523).
La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, affermato che nel caso di risarcimento del danno da parte di una persona estranea al reato, la circostanza attenuante in questione può essere applicata solo quando risulti che il terzo ha agito non già di propria iniziativa e senza il concorso della volontà del colpevole, ma per sollecitazione o d’accordo con questo, o comunque come suo rappresentante (Cass. II Sez., 1 marzo 1965, n. 345).
L’espresso mandato dell’imputato al difensore, come nel caso di specie, al fine del risarcimento del danno è irrimediabilmente generico, non potendosi ritenere che la volontarietà del risarcimento e la connessa emenda possano dedursi dal preventivo mandato professionale rilasciato al legale e non avendo il difensore effettuato ulteriori e diverse allegazioni.
Quanto al secondo motivo, non è censurabile il decisum della Corte territoriale, avendo la stessa spiegato le ragioni ritenute ostative al riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione, richiamando i precedenti specifici a carico del prevenuto unitamente alle pendenze giudiziarie per reati omogenei a quello oggetto del giudizio, evidenziando l’allarmante personalità dell’imputato.
A cura di Giusy Alessandra Annunziata