Cassazione, Diritto Penale, Diritto Processuale Penale, Sentenze

Ricorso per saltum del PM avverso sentenza di proscioglimento ex art. 593, comma 3, c.p.p e l’accezione oggettivo funzionale della nozione di Pubblico Ufficiale

Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2025, sentenza n. 24711

LE MASSIME

“Deve ritenersi astrattamente ammissibile l’impugnazione proposta dal P.M. avverso una sentenza di proscioglimento ex art. 593, comma 3, c.p.p. quando il proscioglimento sia conseguente alla derubricazione del reato originariamente contestato, per il quale l’appello sarebbe stato proponibile, e l’impugnazione riguardi proprio tale originaria contestazione, presupponendo il previo riconoscimento dell’erroneità della diversa qualificazione operata dal giudice.”

“Il criterio oggettivo-funzionale della nozione di «pubblico ufficiale» prescinde dal formale inquadramento nella pubblica amministrazione e impone un’attenta valutazione dell’attività concretamente esercitata dal soggetto, ossia la constatazione che, nel suo svolgimento, l’agente abbia concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, ovvero esercitato poteri autoritativi o certificativi tipici della pubblica amministrazione.”

IL CASO

La vicenda da cui prende le mosse la sentenza oggetto del presente elaborato trae origine dalla scomparsa di un passeggero a bordo di una nave battente bandiera italiana, il cui cadavere fu rinvenuto a bordo dal personale della Capitaneria di porto durante una esercitazione di routine.

Pertanto, al comandante veniva contestato il reato di falsità ideologica di cui all’art. 1127 c.n., mentre agli altri membri quello di cui agli artt. 479 e 476 comma 2 c.p., per aver falsamente attestato la regolare esecuzione delle ronde relative alla safety ed alla security imposte per legge.

Il giudice di prime cure ha ritenuto che i membri dell’equipaggio non potessero essere considerati Pubblici Ufficiali, per cui la condotta a loro ascritta è stata ricondotta nell’ambito della previsione, di natura contravvenzionale, di cui all’art. 1231 c.n.; dunque venivano prosciolti per intervenuta prescrizione. Il comandante, invece, veniva condannato per il delitto di cui all’art. 1127 c.n.. Avverso detta sentenza, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per saltum alla Corte di Cassazione, deducendo l’erroneità della riqualificazione operata dal giudice di prime cure.

LA QUESTIONE

Le questioni di diritto sottoposte al vaglio del Supremo Collegio sono sostanzialmente due, la prima in ordine logico è di natura squisitamente processuale e concerne l’ammissibilità dell’impugnazione da parte del Pubblico Ministero di una sentenza di proscioglimento per i reati puniti con la pena pecuniaria o con pena alternativa ex art. 593 co. 3 c.p.p.. Invero, la Corte è stata chiamata a decidere se l’impugnazione proposta dal PM – nella forma del Ricorso per saltum in Cassazione – fosse ammissibile, ovvero se fosse stata proposta in violazione di Legge in quanto tale sentenza, stando ad una lettura stricto sensu dell’art. 593 co. 3 c.p.p., sarebbe inappellabile anche con un ricorso per saltum in Cassazione.

La seconda questione riguarda, invece, un profilo di natura sostanziale ampiamente dibattuto. Detta questione concerne i criteri che devono orientare l’interprete nell’attribuzione della qualifica soggettiva di Pubblico Ufficiale o di Incaricato di Pubblico Servizio agli effetti della legge penale. In altri termini, la Corte è stata chiamata a decidere se, in forza della novella apportata dalla L. 86/1990, la qualifica di Pubblico Ufficiale o Incaricato di Pubblico Servizio possa prescindere da un inquadramento organico (rectius di dipendenza) con la Pubblica Amministrazione oppure no.

LA SOLUZIONE

Il Supremo Collegio, sotto il profilo processuale, ha avuto modo di affermare che: sebbene l’art. 593 co. 3 c.p.p stabilisca che, in via generale, sono inappellabili le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la pena pecuniaria o con pena alternativa; lo stesso articolo nulla afferma in ordine al caso in cui il proscioglimento, per uno di tali reati, sia conseguito alla diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice. La norma, pertanto, deve essere correttamente letta nel senso che sono inappellabili (ex art. 593 co. 3 c.p.p.) le sole sentenze di proscioglimento in cui la contestazione originaria aveva ad oggetto reati puniti con pena pecuniaria o alternativa. Laddove, invece, il proscioglimento derivi (anche) dalla derubricazione di un reato più grave o diverso – in relazione al quale sarebbe stato altrimenti esperibile l’appello – l’impugnazione del Pubblico Ministero, qualora sia orientata al riconoscimento dell’erronea qualificazione giuridica operata dal giudice di prime cure, non ha ad oggetto il reato conseguente alla derubricazione, bensì riguarda l’originaria contestazione. Pertanto, in questi casi – come avvenuto nel caso di specie –, l’impugnazione del PM è astrattamente ammissibile anche nella forma del ricorso per saltum.

Chiarito questo primo, cruciale, scoglio interpretativo la Suprema Corte, dichiarando ammissibile il ricorso ha affrontato il profilo sostanziale della vicenda. Gli Ermellini hanno ritenuto di valorizzare la ratio della riforma del 1990, la quale ha esplicitamente modificato la nozione di Pubblico Ufficiale e Incaricato di Pubblico Servizio, passando da una concezione formale di dipendenza con la P.A. ad una concezione di natura “funzionale”. Pertanto, la Corte ha ritenuto che la qualifica di Pubblico Ufficiale (e mutatis mutandis quella di Incaricato di Pubblico Servizio) sia ricavabile, non tanto in forza di un rapporto di dipendenza con l’Ente, quanto dalle mansioni che il soggetto agente svolge. In altri termini, quando in concreto il soggetto agente svolge mansioni tipiche dell’attività pubblica, che può manifestarsi nelle forme della pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa, il soggetto deve essere inquadrato nella categoria soggettiva di Pubblico Ufficiale “agli effetti della legge penale”.Il criterio oggettivo-funzionale della nozione di Pubblico Ufficiale impone, dunque, un’attenta valutazione dei seguenti elementi: in primis dell’attività concretamente esercitata dal soggetto; in secundis la ricerca e l’individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore; da ultimo la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa.

Ad avviso della Cassazione, in applicazione dei principi sopraesposti, ai membri dell’equipaggio va attribuita la qualità soggettiva di Pubblico Ufficiale, ex art. 357 c.p., nell’esecuzione delle ronde imposte dalla L. 313/1980 e dal DPR 435/1991. Ciò poiché tale impianto normativo attribuisce una autonoma rilevanza al servizio di ronda, delineando un ben preciso onere informativo a carico del personale incaricato, a seguito del quale è attribuito un potere certificativo rilevante ai sensi dell’art. 357 c.p. Dunque, la condotta dei componenti dell’equipaggio, i quali hanno falsamente attestato l’esecuzione dei servizi di ronda, deve essere inquadrata nell’ambito dell’originaria previsione di cui agli artt. 476 e 479 c.p., venendo in rilievo la redazione di documenti pubblici falsi ad opera di soggetti chiamati a svolgere compiti di accertamento e di certificazione nel contesto di un’attività di controllo regolamentata dal Legislatore, in un ambito delicato come quello concernente la sicurezza della navigazione.

Tuttavia, nonostante la validità di dette contestazioni, la Corte annullava senza rinvio per tutti perché, medio tempore i reati – anche a seguito della riconduzione degli stessi nel novero della contestazione originaria – risultavano estinti per intervenuta prescrizione.

Nota a cura di Michele Pilia (avvocato – cultore di diritto della navigazione)