Riciclaggio consumato: smontare un’auto rubata integra il reato

Cass. pen., Sez. II, 16 maggio 2025, sentenza n. 18571
LA MASSIMA
“Il delitto di riciclaggio si perfeziona con il mero compimento di attività intese a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, sicché risponde del reato di riciclaggio consumato chi venga sorpreso ad effettuare operazioni di smontaggio dei pezzi di un’autovettura quando (come nel caso in esame) risultino già asportate le targhe e il vano motore. Viene in questo modo negata l’opzione della forma tentata avanzata dalla difesa dell’imputato”.
IL CASO
La Corte d’Appello territorialmente competente ha confermato la sentenza di primo grado, appellata dagli imputati, con cui sono stati condannati per il delitto di riciclaggio in concorso.
Il caso di specie riguardava il coinvolgimento dei ricorrenti sorpresi a smontare un’autovettura Porche rubata, già priva delle targhe e con il vano motore manomesso. Tramite le rispettive difese gli stessi presentavo ricorso avverso la sentenza di merito chiedendone l’annullamento: in particolare, con motivi congiunti e sovrapponibili, i difensori deducevano vizi di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per non essere stata raggiunta la prova della consapevole, concreta e attiva partecipazione alla condotta altrui e violazione di legge in relazione all’art. 648-bis c.p. per una corretta riqualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 648 c.p.
La Corte territorialmente competente aveva ritenuto perfezionato il reato nella forma consumata, rigettando la tesi difensiva che propendeva per l’ipotesi di tentativo, ritenendo che l’occultamento non fosse ancora pienamente realizzato.
Con il primo motivo, in sostanza, le difese sostenevano che la motivazione della sentenza di primo grado presentava connotati di illogicità, contraddittorietà e inadeguatezza, tale da non raggiungere quel grado necessario per sostenere la responsabilità degli imputati per il delitto in forma consumata.
Con il secondo motivo, di conseguenza, veniva dedotta violazione di legge in relazione all’art. 648 c.p. per mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie, giacché la condotta degli imputati poteva essere al più ricondotta nell’ipotesi più attenuata di cui l’art. 648-bis c.p., a condizione che venisse provata la provenienza illecita dei pezzi dell’autovettura, non essendo sufficiente a dimostrare il loro possesso la mera riproduzione fotografica degli stessi.
LA QUESTIONE
Va premesso, anzitutto, un inquadramento logico-sistematico della fattispecie di cui all’art. 648-bis, comma primo, c.p., il quale dispone che “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad esse altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 5.000 a € 25.000”.
La questione sottoposta al vaglio del Supremo Organo ha dunque riacceso il dibattito dottrinario in merito ai confini tra il delitto di riciclaggio consumato e quello tentato, nonché i rapporti con altre fattispecie, tra cui innanzitutto con il reato di ricettazione ex art. 648-bis c.p.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha reputato inammissibili i ricorsi, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La Corte è tornata a delineare i confini tra il delitto di riciclaggio consumato e quello tentato, confermando un orientamento consolidato in giurisprudenza di legittimità.
Ha negato, in sostanza, le memorie difensive, secondo cui il reato si configurava nella forma tentata, rimarcando come lo smontaggio dell’autovettura costituiva solo la fase iniziale della condotta di occultamento, e che per la relativa consumazione sarebbe stato richiesto l’ulteriore trasferimento delle sue parti smontate e la loro confusione con altre parti di provenienza illecita.
Il delitto di riciclaggio si perfeziona con il mero compimento di attività intese a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, cosicché risponde del reato di riciclaggio consumato chi venga sorpreso ad effettuare operazioni di smontaggio dei pezzi di un’autovettura quando risultino già asportate le targhe e il vano motore, come già sostenuto in passato dalla giurisprudenza con la Cass. pen., Sez. II, 4 marzo 2022, sentenza n. 11277.
Chiarito quanto sopra menzionato in merito ai connotati della fattispecie in esame, è stata disposta la manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione con cui si è sostenuto che il fatto andava più correttamente ritenuto nella forma tentata.
I giudici di legittimità, inoltre, hanno negato la configurabilità dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648-bis c.p., la quale recita che “La pena è della reclusione da due sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo di sei mesi”.
Si premette che il delitto di riciclaggio, al pari della ricettazione di cui all’art. 648-bis c.p., richiede come presupposto che il denaro, i beni e le altre utilità provengano da un qualsiasi delitto non colposo. La condotta tipica del reato è descritta secondo tre modelli fattuali, quali sostituzione, espressione che si riferisce a tutte le attività dirette alla ripulitura del prodotto criminoso, cancellando ogni possibile collegamento con il reato; trasferimento, posto in essere mediante tutte le condotte che implicano uno spostamento dei valori di provenienza delittuosa da un soggetto ad un altro in modo da far perdere le tracce della titolarità, della provenienza e dell’effettiva destinazione; altre operazioni per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, intesa come formula di chiusura che consente di sanzionare le tecniche nuove, più raffinate, che la criminalità riesce ad escogitare per ripulire i capitali illeciti.
Orbene le difese hanno sostenuto che, mancando ogni accertamento sul reato presupposto, in particolare la prova dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede, non era a tal fine sufficiente dare esclusivo credito alle dichiarazioni del proprietario della Porsche che si assumeva fosse stata cannibalizzata.
La Corte d’Appello, infatti, ha negato la configurabilità dell’ipotesi attenuata osservando che il reato presupposto era un furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede, giacché dalla denuncia risultava che la stessa era parcheggiata sulla pubblica via quando è stata rubata.
Anche i giudici di legittimità, in questa circostanza, hanno seguito un orientamento già espresso in precedenza, precisando che “in tema di furto, sussiste la circostanza aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, nel caso di chiusura a chiave delle serrature delle portiere dell’auto parcheggiata sulla pubblica via, in quanto detto accorgimento non costituisce un grave ostacolo all’azione furtiva; tale circostanza ricorre non solo in relazione all’azione furtiva avente per oggetto l’auto ma anche a quella riguardante gli oggetti in essa custoditi che costituiscono un suo accessorio e che, comunque, non sono facilmente trasportabili” (Cass. pen., Sez. IX, 26 marzo 2015, sentenza n. 21262).
Dunque, alla luce di quanto sostenuto dai giudici di legittimità, si può concludere sostenendo che il confine tra riciclaggio tentato e riciclaggio consumatosi fonda su criteri funzionali e non meramente formali.
Nota a cura di Chiara Fasano (conservatore notarile)