Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Responsabilità del datore di lavoro per le lesioni subite dal lavoratore

Cass. pen., Sez. IV, 22 aprile 2025, sentenza n. 15697
LA MASSIMA
“Il datore di lavoro risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte. È, infatti, tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento, ovvero laddove sia accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo”.
IL CASO
Il caso in esame concerne la condanna di un soggetto, in qualità di legale rappresentante pro tempore di una società, in ordine al reato di cui all’art. 590 c.p. in danno del lavoratore dipendente.
Quest’ultimo era impegnato a scaricare della merce da un furgone da cantiere, quando un tubo di cemento per fognature del peso di oltre 40 kg cadeva sulle dite della sua mano sinistra, cagionandogli lesioni personali, consistite nella frattura scomposta pluri-frammentaria della testa della falange prossimale del secondo dito e l’infrazione della testa della falange intermedia del terzo dito, dalle quali era derivata una malattia della durata di 140 giorni.
Il Tribunale individuava un addebito di colpa nei confronti del legale rappresentate della società, consistente nella imprudenza, negligenza e imperizia e violazione degli artt. 18 comma 1 lett. f), 37 comma 1 e 169 comma 1 D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per aver omesso di formare adeguatamente il lavoratore e di impartirgli disposizioni sui rischi e sulle azioni da intraprendere nella movimentazione dei carichi manuali.
La difesa dell’imputato contestava il riconoscimento della responsabilità penale dello stesso fondata sulla qualifica formale di legale rappresentante della società, trattandosi invero di un mero prestanome e, mancando la dimostrazione della sua partecipazione attiva nella gestione dell’attività aziendale.
Inoltre la difesa rilevava la mancanza di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, considerando il cedimento del materiale edilizio come un evento imprevedibile e non evitabile secondo la ordinaria diligenza.
Si contestava altresì il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. e la scelta della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, oltre al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
LA QUESTIONE
Ci si chiede dunque, se il legale rappresentante di una società, anche qualora prestanome, sia pur sempre destinatario degli obblighi di protezione antinfortunistica e se la posizione di garanzia, in tema di debito di sicurezza antinfortunistica, debba essere riferita anche solo alla assunzione della carica di legale rappresentante della società alle cui dipendenze è posto il lavoratore e su cui i terzi fanno affidamento.
Gli artt. 2 e 299 del D. Lgs. 81/2008 definiscono la qualifica di datore di lavoro e perimetrano l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche di coloro che rivestono tale qualifica, oltre che quella di dirigente e preposto, affermando che il datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro, il quale riveste la posizione di garanzia.
In particolare, l’art. 299 D. Lgs. 81/2008, nel definire l’esercizio di fatto dei poteri direttivi, stabilisce che la posizione di garanzia relativa al datore di lavoro grava altresì
su colui che, pur sprovvisto di formale investitura, eserciti in concreto i poteri riferiti al soggetto definito dall’art. 2. La norma nell’estendere gli obblighi di garanzia a coloro che di fatto svolgono le mansioni tipiche delle figure di cui si è detto, non esclude la corresponsabilità dei titolari formali della qualifica.
Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, c.d. mista, affinché sussista la posizione di garanzia occorre un obbligo giuridico con base legale diretta o indiretta e l’esistenza di poteri impeditivi in capo all’agente.
Con riferimento all’elemento colposo, occorre accertare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, al fine di ritenere un soggetto responsabile dell’infortunio occorso.
Dunque, allorché la movimentazione manuale del carico abbia determinato la caduta del tubo, occorre chiedersi se, qualora il lavoratore fosse stato correttamente istruito sulle modalità di movimentazione manuale dei carichi l’infortunio non si sarebbe verificato. Inoltre, il giudice è tenuto ad accertare se costituisca una circostanza imprevedibile il fatto che alcuni tubi accatastati su un furgone assieme ad altro materiale di varia specie possano scivolare e colpire i lavoratori che stanno scaricando quel materiale e se le regole relative alla corretta movimentazione manuale di carichi valgono proprio a prevenire il rischio specifico di caduta disordinata degli stessi, con conseguente lesione dell’incolumità fisica del lavoratore.
LA SOLUZIONE
Con riferimento alla posizione di garanzia, la Corte di Cassazione aderisce all’orientamento maggioritario della giurisprudenza secondo cui, la responsabilità dell’amministratore di società in ragione della posizione assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia apparente.
Gli articoli 2 e 299 del D. Lgs. 81/2008 estendono gli obblighi di garanzia a coloro che di fatto svolgono le mansioni tipiche del datore di lavoro ma, non si può escludere la corresponsabilità di coloro che sono titolari formali della qualifica. Permane, dunque, in capo al titolare del rapporto di lavoro la posizione di garanzia, a meno che questi non abbia investito tramite delega altri soggetti delle funzioni prevenzionistiche.
La Suprema Corte osserva che l’obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori sia uno dei principali gravanti sul datore di lavoro ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro. Il datore di lavoro risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare
i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte. È, infatti, tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento, ovvero laddove sia accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo.
Con riferimento al caso di specie, si ritiene corretta la ricostruzione del Tribunale secondo cui, la movimentazione manuale del carico abbia determinato la caduta del tubo, sicché era ragionevole ritenere che ove il lavoratore fosse stato correttamente istruito sulle modalità di movimentazione manuale dei carichi l’infortunio non si sarebbe verificato. Non può ritenersi circostanza imprevedibile che tubi accatastati su un furgone assieme ad altro materiale di varia specie possono scivolare e colpire i lavoratori che stanno scaricando quel materiale; peraltro le regole relative alla corretta movimentazione manuale di carichi valgono proprio a prevenire il rischio specifico di caduta disordinata degli stessi con conseguente lesione dell’incolumità fisica del lavoratore.
Quest’ultima è addebitale al legale rappresentante pro tempore della società, stante la posizione di garanzia sussistente in capo allo stesso, la prevedibilità dell’evento e il mancato impedimento dello stesso attraverso la corretta formazione del lavoratore dipendente.
Con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., contestata dalla difesa, la Corte di Cassazione ritiene che, trattandosi di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno. Quest’ultima può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 c.p., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado.
A cura di Francesca Tagliamonte