Resistenza a pubblico ufficiale e limiti del dolo specifico: esclusa la finalità oppositiva nella condotta minatoria

Cass. pen., Sez. II, 6 ottobre 2025, sentenza n. 32839
LE MASSIME
“In tema di resistenza a pubblico ufficiale è presupposto che la condotta illecita sia diretta a impedire il compimento di un atto di ufficio e che sussista il dolo specifico”.
“Non integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale la condotta minatoria rivolta a un pubblico ufficiale che non sia finalisticamente diretta a impedire il compimento di un atto d’ufficio, ma costituisca mera rimostranza per un’attività già esaurita”.
IL CASO
“Appena finisce la scuola vengo a trovarti, non è una minaccia ma un avvertimento, per me le regole non valgono, tu mi hai fatto sospendere per 25 giorni”.
Queste le parole pronunciate da uno studente minorenne, verso il proprio insegnante, durante l’ora di educazione fisica.
L’episodio era avvenuto dopo che l’alunno era stato sottoposto a una sanzione disciplinare di sospensione per venticinque giorni dalla frequenza delle lezioni.
I giudici di merito avevano ritenuto che tale comportamento integrasse il reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., in quanto rivolto a un soggetto (l’insegnante) qualificabile come pubblico ufficiale e idoneo a manifestare opposizione all’esercizio delle sue funzioni.
La Corte di appello aveva pertanto confermato la condanna di primo grado.
L’imputato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato, sostenendo che la minaccia non fosse finalisticamente diretta a ostacolare un atto d’ufficio, ma costituisse una reazione personale a una decisione ormai esaurita.
LA QUESTIONE
La questione è chiara e investe l’analisi della fattispecie del delitto di resistenza a pubblico ufficiale così da verificare se, nel caso concreto, la condotta illecita dell’imputato fosse diretta a impedire il compimento di un atto di ufficio e vi fosse la sussistenza del dolo specifico.
LA SOLUZIONE
La Corte di cassazione accoglieva il ricorso, ribadendo un principio ormai consolidato nella propria giurisprudenza, per cui il delitto di resistenza a pubblico ufficiale richiede il dolo specifico, consistente nel fine di impedire o ostacolare il compimento di un atto d’ufficio o di servizio.
In assenza di tale finalità, la condotta minacciosa, per quanto illecita, non è idonea a integrare la fattispecie dell’art. 337 c.p.
La Corte richiamava, a sostegno, precedenti conformi evidenziando come non potessero essere sussunte sotto il paradigma della “resistenza” le espressioni minatorie o offensive rivolte al pubblico ufficiale per mere finalità ritorsive o di protesta rispetto ad attività già compiute.
Applicando tale principio al caso concreto, la Corte riteneva che la frase pronunciata dal minore, sebbene offensiva e inopportuna, non fosse volta a impedire lo svolgimento della lezione né a ostacolare l’esercizio dell’attività d’insegnamento; invero, rappresentava piuttosto un atto di rimostranza personale per un provvedimento disciplinare ormai definitivo, e quindi estraneo alla dimensione dell’atto d’ufficio in corso.
L’elemento finalistico richiesto dall’art. 337 c.p. risultava pertanto assente: la minaccia non aveva avuto la funzione di ostacolare un atto, ma costituiva una reazione a un atto già concluso.
Oltre ciò, la Corte chiariva che che non fosse sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, che la minaccia fosse rivolta a un pubblico ufficiale “nell’esercizio delle sue funzioni”.
La tipicità della condotta incriminata esigeva un nesso teleologico e causale tra la condotta minatoria e l’attività d’ufficio da impedire.
L’esclusione del reato di resistenza non comportava tuttavia la neutralizzazione penale del comportamento.
La Corte sanciva che la condotta del ricorrente potrebbe astrattamente integrare altre fattispecie delittuose, segnatamente: a) il reato di minaccia semplice ex art. 612 c.p., eventualmente aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. (per l’offesa rivolta a un pubblico ufficiale in ragione delle funzioni esercitate); b) il reato di oltraggio a pubblico ufficiale ex art. 341 bis c.p., la cui configurabilità dipenderà dalle modalità dell’azione e dal contesto pubblico in cui si è verificata.
La sentenza veniva annullata con rinvio alla Corte di appello di Milano, Sezione minorenni, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.
Nota a cura di Filippo Marco Maria Bisanti (Docente)