Rapina impropria: elementi costitutivi, consumazione e tentativo

Cass. pen., Sez. II, 11 settembre 2025, sentenza n. 31292
LA MASSIMA
“Il secondo comma dell’art. 628 c.p. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso. Il requisito della violenza o minaccia che caratterizza il delitto di rapina certamente può comportare una differenziazione in ordine al momento consumativo rispetto al furto. Mentre, infatti, con riferimento al furto, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore questi è ancora in grado di recuperarla, così facendo degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo, al contrario, nella rapina, la modalità violenta o minacciosa dell’azione non lascia alla vittima alcuna possibilità di esercitare la sorveglianza sulla res. Per la consumazione del delitto di rapina è, quindi, sufficiente che la cosa sia passata sotto l’esclusivo potere dell’agente, essendole stata la vittima spossessata “materialmente”, così perdendo di fatto relativi poteri di custodia e di disposizione fisica”.
IL CASO
La vicenda in esame trae origine dal ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello riqualificava la condotta contestata all’imputato, originariamente ritenuta dal Tribunale territoriale una tentata rapina impropria, in “rapina impropria consumata”, e confermava la sua responsabilità.
Avverso la decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:
-la violazione di legge con riferimento agli artt. 581 c.p.p., 56 e 628 c.p., nonché il vizio di motivazione in odine alla qualificazione giuridica della condotta, dovendo la stessa essere inquadrata nella fattispecie della rapina tentata e non consumata;
-la violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della attenuante introdotta dalla sentenza n. 84 del 2024 della Corte Costituzionale che, a parere della difesa, avrebbe dovuto trovare riconoscimento tenuto conto della natura, dei mezzi, delle modalità, delle circostanze dell’azione e della particolare tenuità del danno.
LA QUESTIONE
Nel solco della prospettiva dinanzi illustrata, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui motivi proposti in ricorso, tra i quali quello relativo alla corretta qualificazione giuridica del fatto.
La Suprema Corte ha confermato la corretta applicazione da parte dei giudici d’appello dei principi fissati dalle Sezioni Unite per delineare la fattispecie di rapina impropria consumata, ritenendo inammissibile il ricorso in relazione ai motivi di gravame proposti e confermando la sentenza impugnata.
LA SOLUZIONE
In primo luogo, consacrando un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte ha chiarito che ai fini della configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 628 co. 2 c.p., l’elemento oggettivo del delitto di rapina si sostanzia nella condotta della “sottrazione” e non anche dell’“impossessamento”, il quale non costituisce elemento materiale della fattispecie criminosa, ma è richiesto dalla norma incriminatrice solo come scopo della condotta.
In sostanza, mentre la rapina propria si consuma, come il furto, soltanto quando si sono verificati sia la sottrazione della cosa mobile altrui, sia l’impossessamento della stessa, la rapina impropria si consuma con la sola sottrazione della cosa, senza che occorra che sia realizzato anche l’impossessamento che, invece, postula l’acquisto del possesso sulla cosa sottratta ad altri che, secondo la definizione offerta dall’art. 1140 c.c., consiste in una signoria indipendente e autonoma che l’agente esercita sulla res.
Si consideri, peraltro, che la concreta configurazione della fase sottrattiva che – secondo la dominante impostazione- consiste nell’eliminazione del potere materiale sulla cosa da parte del detentore che impedisce di fatto l’esercizio di ogni controllo, può verificarsi anche nel caso in cui l’apprensione si è svolta sotto la supervisione della persona offesa, la quale è quantomeno posta in una condizione di impossibilità di esercitare i propri poteri.
Ciò conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usa violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso.
Sulla scorta di tali coordinate e in considerazione della successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, par d’uopo rammentare che il legislatore, al fine di mantenere equilibrate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell’art. 628 c.p., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, cosi lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre le cosa altrui.
Anche in mancanza di sottrazione, infatti, le condotte non possono sussumersi sotto fattispecie normative diverse dalla rapina impropria, poiché la violenza o la minaccia sono connesse al tentativo di acquisire la disponibilità del bene, che è elemento qualificante del reato di cui all’art. 628 c.p.
Sul punto, è bene altresì rilevare che la rapina, sia nella sua configurazione ordinaria, che in quella impropria, ha una condotta complessa che si compone sia della aggressione al patrimonio che di quella alla persona, sicché nel caso in cui alla seconda succeda temporalmente alla prima, la condotta violenta unitamente alla sottrazione consentono di ritenere la rapina “consumata”.
Tale approdo ermeneutico è confermato dalla lettera della legge che nella rapina impropria sanziona la sottrazione cui segue la violenza alla persona: il capoverso dell’art. 628 c.p. sarebbe esplicito nel richiedere che violenza e minaccia siano utilizzate “immediatamente dopo la sottrazione”.
A giudizio della Corte di Cassazione, dalla trasposizione di tali coordinate ne discende la corretta qualificazione giuridica del fatto come “rapina impropria consumata”, che si sottrae ad ogni censura determinando l’inammissibilità del ricorso.
Nota a cura di Junia Valeria Massa