Prevedibilità dell’evento nel delitto di omicidio stradale

Cass. pen., Sez. II, 15 aprile 2025, sentenza n. 15459
LA MASSIMA
“Nel caso di investimento pedonale, il conducente del veicolo risponde di omicidio stradale anche quando la vittima, per le fratture riportate a seguito dell’incidente e la conseguente immobilità, decede per embolia. Sotto il profilo soggettivo, invece, lo stesso va esente da responsabilità nel caso in cui, per motivi estranei a ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile”
IL CASO
La Corte di Appello confermava la condanna del conducente di un’autovettura, in relazione al delitto di omicidio stradale colposo, di cui all’art. 589-bis c.p., per avere lo stesso investito una passante mentre attraversava la strada, cagionandone la morte. La vittima, dopo il violento impatto con l’automobile, cadeva a terra, riportando una serie di lesioni non letali. Veniva così ricoverata e, al rientro presso la propria abitazione, decedeva per effetto di un’embolia polmonare. Al conducente si rimproverava di avere guidato con negligenza, imprudenza e imperizia e di avere violato gli artt. 141 e 191 del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, c.d. Codice della Strada.
Avverso la sentenza ricorreva l’imputato, deducendo la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e l’insussistenza di profili di responsabilità colposa. Il giudice di appello, infatti, non avrebbe valutato l’embolia come fattore causale sopravvenuto, autonomo e imprevedibile, sufficiente a interrompere la catena causale originata dal trauma conseguente all’urto con l’autovettura. A parere del ricorrente, in base al giudizio controfattuale, eliminando mentalmente il sinistro, l’embolia polmonare si sarebbe comunque verificata con elevato grado di credibilità razionale, degradando la condotta di guida da fattore causale a mero fattore occasionale, privo di rilevanza penale, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, c.p.
Sotto altro profilo, l’imputato lamentava la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa, poiché la condotta di guida era stata diligente e perita; inoltre, le circostanze presenti al momento del fatto avrebbero reso impossibile a chiunque l’avvistamento del pedone o l’adozione di manovre utili a evitare l’investimento.
Non vi era stata neppure violazione del Codice della strada, essendo stata la velocità di guida adeguata e, in ogni caso, non era stato dimostrato che una velocità inferiore avrebbe evitato l’evento. Infine, secondo la prospettazione difensiva la possibilità di avvistare il pedone si sarebbe dovuta escludere anche sulla base delle circostanze accertate in sede di merito, quali il traffico intenso, l’abbagliamento solare, l’occultamento visivo determinato dai veicoli incolonnati.
LA QUESTIONE
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità del conducente in caso di investimento cui abbia fatto seguito la morte del pedone, con particolare riguardo al caso in cui il decesso della vittima sia avvenuto per effetto di una patologia insorta successivamente al sinistro stradale, ma ad esso collegata. Sotto il profilo soggettivo, poi, si è chiesto ai giudici di legittimità di individuare i criteri per l’imputazione soggettiva dell’evento, chiarendo i profili del rimprovero di colpa.
LA SOLUZIONE
Con la decisione in commento, la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato.
Quanto al nesso di causalità, non ha riconosciuto all’embolia portata interruttiva dell’iter causale innescato dalla condotta colposa, ritenendo, anzi, il fattore di rischio trombotico collegato alla immobilizzazione successiva alle lesioni riportate dalla vittima a seguito dell’incidente stradale. La Corte, nell’individuare la condotta di guida quale causa dell’evento morte e nell’escludere la riconducibilità dello stesso a eventi eccezionali, ha applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esclusione del nesso di causalità ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.
Invero, secondo la teoria della causalità “umana”, per l’imputazione oggettiva dell’evento è necessario che l’uomo con la sua condotta abbia posto in essere un fattore causale senza il quale il risultato nel caso concreto non si sarebbe avverato e che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. Secondo questa ricostruzione, causa sopravvenuta idonea a escludere il rapporto di causalità è un percorso causale ricollegato alla condotta dell’agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; un evento che non si verifica, se non in casi del tutto imprevedibili.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte ha ravvisato nella condotta di guida profili di colpa causalmente collegati al sinistro mortale, sulla scorta delle condizioni ambientali presenti al momento dell’impatto. Infatti, la visuale non era ostacolata dai raggi del sole e, in ogni caso, tale circostanza non avrebbe esonerato il conducente da colpa, giacché lo stesso avrebbe dovuto ulteriormente decelerare o, addirittura, arrestare la marcia, proprio per non esporre a rischio la incolumità di terzi. Inoltre, l’attraversamento sarebbe stato prevedibile, visto che la strada presentava passaggi pedonali e attraversava una zona abitata, costeggiata da negozi in orario di apertura, circostanze che avrebbero dovuto allertare il conducente.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte ha ritenuto sussistente anche l’addebito di colpa consistente nella violazione del Codice della strada che, agli artt. 141 e 191, impone di tenere una condotta di guida tale da consentire al conducente di compiere tutte le manovre in condizioni di sicurezza e arrestarsi di fronte a ostacoli prevedibili, quali i pedoni.
Invero, secondo la giurisprudenza costante in tema di responsabilità colposa del conducente nel caso di investimento pedonale, il principio dell’affidamento nella prudenza degli altri utenti della strada trova un temperamento nell’opposto principio, secondo il quale il conducente è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità. Quindi, lo stesso va esente da responsabilità unicamente quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile. Facendo applicazione di tali principi, la Corte ha condannato il conducente per il delitto di omicidio stradale colposo, pur essendo il decesso della vittima intervenuto dopo un lungo lasso di tempo dal sinistro e in seguito a un fattore causale autonomo e indipendente, quale l’embolia polmonare, ritenuto comunque inidoneo a interrompere la serie causale innescata dal sinistro stradale. L’investimento del pedone, causa della morte, sarebbe stato prevedibile e, soprattutto, evitabile, osservando un comportamento prudente e rispettoso della normativa stradale.
A cura di Valentina Russo