Pene sostitutive e precedenti penali

Cass. pen., Sez. I, 31 dicembre 2024, sentenza n. 47682
LA MASSIMA
“La sussistenza di precedenti condanne a carico dell’imputato non può essere ritenuta ex se quale elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive. La presenza di precedenti condanne non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente per il rigetto della richiesta di applicazione delle pene sostitutive, ma non esclude, tuttavia, che il giudice ne possa tenere conto ai fini del giudizio prognostico richiesto dall’art. 58 L. n. 689 del 1981 circa la idoneità della pena sostitutiva ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati”.
IL CASO
A seguito della richiesta dell’imputato di sostituzione della pena detentiva di tre mesi di reclusione con la pena pecuniaria, il Tribunale ha espresso con ordinanza il suo rigetto evidenziando una personalità del soggetto incline alla commissione di condotte delittuose. Visti, infatti, i plurimi e gravi precedenti penali del condannato, fra cui quelli di ricettazione, tentata estorsione, lesione personale ed evasione, si è ritenuto che ricorra in concreto il rischio sia di recidivanza con la realizzazione di ulteriori reati sia di non ottemperanza alle prescrizioni.
Avverso la decisione del Tribunale, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando che il giudice dell’esecuzione non ha né esaminato la personalità e le condizioni di vita del suo assistito né ha valutato l’idoneità della sanzione ai fini del reinserimento sociale.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione attiene alla valutazione dei presupposti per l’applicazione delle misure sostitutive alla pena detentiva.
Nella vicenda in esame, in particolare, rileva l’istituto delle pene detentive brevi, dal momento che l’imputato era stato condannato alla reclusione di tre mesi. Ebbene, ai sensi dell’art. 20 bis c.p., introdotto dal D.Lgs. 150/2022 e rubricato “Pene sostitutive delle pene detentive brevi”, le pene sostitutive consistono nella semilibertà sostitutiva, nella detenzione domiciliare sostitutiva, nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo e, infine, nella pena pecuniaria sostitutiva. All’ultimo comma si precisa che “la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno”.
Col predetto articolo, espressione del fenomeno della c.d. “lotta alla pena detentiva breve”, si ravvisa un tendenziale disfavore dell’ordinamento verso l’esecuzione di pene detentive di breve durata. In un’ottica critica si è sostenuto, infatti, che la detenzione di breve durata, alla quale dovrebbe comunque riservarsi il ruolo di “extrema ratio”, potrebbe non raggiungere gli obiettivi di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva: questi ultimi, al contrario, potrebbero essere maggiormente conseguiti con pene diverse da quella carceraria.
LA SOLUZIONE
La prima Sezione della Corte di Cassazione rigetta il ricorso, perché lo ritiene infondato.
L’analisi dei giudici di legittimità si incentra soprattutto sull’art. 58 della L. 689/1981, rubricato “Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”. Esso stabilisce che anche nell’applicazione della pena sostitutiva, il giudice deve osservare l’art. 133 c.p., il quale indica una serie di parametri da cui desumere sia la gravità del reato sia la capacità a delinquere del colpevole: fra questi, sono esplicitati anche i “precedenti penali e giudiziari”.
Ai sensi del comma 1 del suddetto art. 58, come modificato dal D. Lgs. 150/2022 (“Riforma Cartabia”), è espressamente affermato che “Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.”
Dalla lettura della norma si ricava, dunque, che l’inflizione della pena sostitutiva è subordinata a due condizioni. Da un lato, deve emergere la maggiore adeguatezza della misura sostitutiva nel favorire la rieducazione del reo e, come asserito al comma 2 della disposizione, il “reinserimento sociale del condannato”. D’altra parte, vi deve essere garanzia che non ci sia reiterazione criminosa.
La sentenza in commento, peraltro, condivide un orientamento consolidato della stessa giurisprudenza di legittimità per la quale il giudice potrebbe optare per la sanzione pecuniaria sostitutiva anche prescindendo da taluni criteri enunciati dall’art. 133 c.p.. Al riguardo si legge nel provvedimento giurisdizionale che “non v’è ragione di discostarsi del tutto, su tale punto, dalla pregressa giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di sostituzione di pene detentive brevi, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione, ai sensi dell’art. 53, legge 24 novembre 1981 n. 689, di una pena pecuniaria in sostituzione di una detentiva, pur essendo legata ai medesimi criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. per la determinazione della pena, non implica necessariamente l’esame di tutti i parametri contemplati nella predetta norma”.
Sicché, la conseguente interpretazione conduce a sostenere che rientra nella discrezionalità del giudice adottare la pena sostitutiva anche laddove l’imputato abbia riportato precedenti condanne.
Ai fini di un migliore inquadramento sistematico, viene richiamato l’art. 545 bis c.p.p. che disciplina la condanna a pena sostitutiva: si sottolinea che esso “subordina la sostituzione della pena detentiva alla condizione che non ne sia stata ordinata la sospensione condizionale dal giudice della cognizione”.
Nel caso di specie, tuttavia, in considerazione dell’attitudine del reo a compiere reati contro il patrimonio, la Suprema Corte conclude per la non applicazione della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva, poiché non ritenuta idonea a garantire la prevenzione del pericolo di commissione di altri illeciti. Argomenta nello specifico che “È del tutto logica, in questa prospettiva, la conclusione secondo cui ben difficilmente potrebbe riconoscersi che la finalità rieducativa della pena e la prevenzione del rischio di recidiva siano utilmente perseguibili e raggiungibili attraverso il pagamento di una pena pecuniaria, imposto ad una persona che ha dato concreta dimostrazione di delinquere esattamente per fini di profitto economico.”