Peculato su somme private: il concetto di ‘altruità’

Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 2025, n. 10068
LA MASSIMA
Integra il delitto di peculato di cui all’art. 314 c.p. anche la condotta del pubblico agente che si appropri di un bene non della pubblica amministrazione, ma di un privato. La nozione di «altruità» non richiede l’effettiva proprietà della cosa da parte di terzi, ma deve essere intesa in senso ampio, in quanto è sufficiente che costoro vantino anche solo un diritto reale diverso dalla proprietà o un diritto personale di godimento. Il carattere di altruità del danaro sussiste, invece, ove una disposizione di legge o contrattuale ne attribuisca sin dall’origine la proprietà alla pubblica amministrazione, fondando un preciso vincolo di destinazione a fini di interesse pubblico.
IL CASO
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla sentenza della Corte d’Appello, che aveva confermato la condanna di primo grado dell’imputato per il reato di peculato, per avere, in qualità di legale rappresentante della società concessionaria del servizio di riscossione del canone di gestione dei loculi cimiteriali, indebitamente trattenuto le somme che avrebbe dovuto versare alle casse comunali.
In sede di ricorso per Cassazione, il difensore dell’imputato deduceva la falsa applicazione dell’art. 314 c.p. e degli articoli 1321 e 1372 c.c., in quanto i giudici di merito avevano errato nel ritenere che le somme oggetto di appropriazione spettassero originariamente al Comune per la demanialità dei beni cimiteriali. Secondo la difesa, tale interpretazione non avrebbe tenuto conto della convenzione stipulata tra l’imputato e il Comune, la quale prevedeva una concessione traslativa per l’ampliamento del colombario del cimitero e che il corrispettivo per la concessione fosse costituito dai proventi della gestione dei loculi, al netto di un canone da versare al Comune.
Pertanto, nel caso di specie, secondo la difesa, il mancato versamento di tali somme configurava un mero inadempimento contrattuale in quanto alcun mandato all’incasso di denaro pubblico era stato conferito da parte del Comune e il canone versato dai privati costituiva il corrispettivo per la costruzione del colombario, anticipato dalla società concessionaria.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta all’esame della Suprema Corte riguarda la corretta interpretazione della nozione di “altruità” ai fini della configurabilità del delitto di peculato.
LA SOLUZIONE
L’art. 314 c.p. punisce l’appropriazione di denaro o cosa mobile “altrui” da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio che ne abbia il possesso o la disponibilità in ragione del proprio ufficio o servizio.
La riforma introdotta dalla legge del 1990 ha eliminato l’esigenza che il bene o il denaro oggetto di appropriazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio appartenga alla pubblica amministrazione, estendendo il reato anche a chi si appropria di beni appartenenti a privati.
La nozione di “altruità” non implica necessariamente la proprietà del bene da parte di terzi, ma è sufficiente che il terzo vanti un diritto reale diverso dalla proprietà o un diritto personale di godimento.
Qualora il bene mobile o il danaro sia pervenuto nella disponibilità dell’agente in conseguenza di un’attività privatistica svolta dall’ente di appartenenza, l’assenza di un collegamento con una pubblica funzione o servizio preclude l’instaurazione di un possesso qualificato dalla ragione funzionale e, dunque, impedisce la configurabilità del reato.
Il carattere di altruità del danaro sussiste, invece, ove una disposizione di legge o contrattuale ne attribuisca sin dall’origine la proprietà alla pubblica amministrazione, fondando un preciso vincolo di destinazione a fini di interesse pubblico.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ritiene che i giudici abbiano fatto corretta applicazione dei principi di diritto.
Infatti, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che le somme oggetto di appropriazione spettassero originariamente al Comune, in quanto derivanti da un vincolo di destinazione del cimitero a fini di interesse pubblico.
In ragione della natura demaniale del terreno cimiteriale, il diritto al sepolcro derivava da una concessione traslativa rilasciata dal Comune al privato, e i proventi di questa concessione facevano parte delle entrate patrimoniali del Comune. Di conseguenza, l’imputato non era autorizzato a trattenere interamente le somme incassate dagli utenti.
Pertanto, la Corte ha giustamente ritenuto che le somme fossero “altrui” e che, quindi, l’appropriazione configurasse il reato di peculato e non un mero inadempimento contrattuale.