Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Peculato e riparazione pecuniaria: limiti e attenuanti

Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 2025, sentenza n. 27422

LA MASSIMA

«La riparazione pecuniaria ex art. 322-quater c.p. non è dovuta quando, al momento della pronuncia, il profitto del reato sia stato integralmente restituito o risarcito. In tema di peculato, la mera omissione del riversamento non è sufficiente a integrare il reato, occorrendo l’accertamento di un comportamento uti dominus. L’attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, c.p.) è applicabile anche quando il pagamento sia effettuato da un fideiussore, purché sia provata la tempestiva e consapevole volontà riparatoria dell’imputato.»

IL CASO

La sentenza trae origine dalla condanna inflitta a una tabaccaia incaricata della riscossione della tassa automobilistica per conto della Regione Veneto, accusata di essersi appropriata della somma di euro 14.297, omettendo di riversare gli incassi relativi ad alcune giornate del mese di maggio 2017. Il Giudice dell’udienza preliminare, celebrato il giudizio abbreviato, aveva ritenuto la donna responsabile del reato di peculato, condannandola a un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione, con sospensione condizionale della pena, applicando inoltre le pene accessorie e disponendo, ai sensi dell’art. 322-quater c.p., il pagamento della somma di euro 15.015 a titolo di riparazione pecuniaria in favore della Regione Veneto.

La Corte di appello aveva integralmente confermato la pronuncia, respingendo le censure della difesa. L’imputata, tramite i propri difensori, proponeva ricorso per cassazione, denunciando l’illegittima integrazione probatoria disposta dal Giudice dell’udienza preliminare ex art. 441, comma 5, c.p.p., l’erronea qualificazione della condotta come peculato e non come mera omissione colposa, l’estraneità della ricorrente alla gestione operativa dei riversamenti, l’illegittima applicazione della riparazione pecuniaria e il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, sostenendo che la Regione era stata integralmente ristorata dal fideiussore, poi prontamente rimborsato dall’imputata.

LA QUESTIONE

La decisione affronta tre nodi interpretativi di rilievo. In primo luogo, la Corte si sofferma sulla qualificazione giuridica della condotta nel delitto di peculato, chiarendo se sia sufficiente il mero mancato riversamento delle somme riscosse o se, al contrario, sia necessario accertare un comportamento appropriativo in senso stretto, consistente nell’interversione del possesso e nell’agire uti dominus. In secondo luogo, viene in esame la compatibilità tra l’integrale risarcimento del danno e l’applicazione della riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater c.p., per verificare se la previsione debba essere interpretata in senso cumulativo o, invece, se debba essere esclusa quando il profitto del reato sia stato già completamente restituito. Infine, la Corte affronta il tema dell’attenuante del risarcimento del danno ex art. 62, n. 6, c.p., stabilendo se essa possa essere riconosciuta anche quando l’adempimento sia effettuato da un fideiussore, purché sussista una manifestazione tempestiva e consapevole di volontà riparatoria da parte dell’imputato.

LA SOLUZIONE

La Corte di cassazione accoglie parzialmente il ricorso e definisce principi di diritto di particolare importanza. In relazione alla configurabilità del delitto di peculato, viene ribadito che la fattispecie non può dirsi integrata per il solo mancato riversamento delle somme riscosse, essendo invece necessario che l’imputato ponga in essere una condotta che denoti la volontà di disporre delle somme come proprie. Nel caso di specie, la predisposizione di una distinta di bonifico falsa e l’utilizzo delle somme per finalità estranee alla riscossione delle imposte dimostrano un comportamento connotato da piena appropriazione, idoneo a integrare il reato contestato.

Quanto alla riparazione pecuniaria, la Corte interpreta l’art. 322-quater c.p. in senso costituzionalmente orientato, stabilendo che essa non può essere applicata quando, al momento della pronuncia, il profitto del reato sia stato integralmente restituito o risarcito, poiché diversamente si verrebbe a determinare un ingiustificato arricchimento dell’amministrazione. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della condanna al pagamento della somma disposta nei precedenti gradi di giudizio.

Infine, con riferimento all’attenuante del risarcimento del danno, la Corte rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia affinché verifichi se il ristoro effettuato dal fideiussore sia stato effettivamente condiviso dall’imputata e accompagnato da una volontà riparatoria tempestiva e consapevole. Laddove tale volontà venga accertata, l’attenuante dovrà essere riconosciuta.

La Corte, pertanto, conferma la responsabilità penale per peculato, elimina la condanna alla riparazione pecuniaria e dispone un nuovo giudizio limitatamente alla valutazione dell’attenuante ex art. 62, n. 6, c.p.

Nota a cura di Federica Perpignano (Avvocato)