Peculato dell’amministratore di sostegno (di fatto)

Cass. pen., Sez. VI., 14 maggio 2025, sentenza n. 18242
LA MASSIMA
“Ai fini della configurabilità del reato di peculato, l’amministratore di sostegno, pur in assenza di formale giuramento, è qualificabile come pubblico ufficiale qualora eserciti di fatto le funzioni previste dalla legge, poiché l’incarico è conferito dal giudice tutelare e si esplica nell’interesse pubblico con finalità di tutela della persona e dei suoi beni”
IL CASO
La Corte d’Appello territoriale competente, in parziale riforma della pronuncia del giudice di prime cure, ha confermato le statuizioni nei confronti dell’imputato, ritenuto responsabile del reato di peculato perché, in qualità di amministratore di sostegno della madre, si era indebitamente appropriato dal 2015 al 2017, prelevandoli dal conto corrente intestato alla donna, della complessiva somma di Euro 298.000.00, inclusa la somma di Euro 260.000 che lo zio della vittima aveva donato all’amministrata.
Avverso la sentenza di appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione.
In particolare, con il primo motivo viene dedotta l’erroneità della qualificazione giuridica della fattispecie di peculato per mancanza della qualifica di pubblico ufficiale in capo all’imputato, in assenza di formale investitura e di giuramento.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 603 c.p.p., nonché la carenza motivazionale della sentenza, non avendo il giudice di merito tenuto conto delle deduzioni difensive tese a sconfessare la condotta di appropriazione di somme altrui.
LA QUESTIONE
La questione principale posta all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda la configurabilità del reato di peculato nell’ipotesi in cui l’amministratore di sostegno, pur in assenza di formale giuramento, eserciti di fatto le funzioni previste dalla legge.
LA SOLUZIONE
Il primo motivo di impugnazione afferisce il tema della configurabilità del delitto di peculato ex art. 314 c.p. per la condotta di appropriazione delle somme posta in essere dall’amministratore di sostegno ai danni dell’amministrato.
La soluzione del quesito impone, preliminarmente, l’indagine in ordine alla possibilità di considerare l’amministratore di sostegno, in assenza di formale giuramento, quale pubblico ufficiale di cui all’art. 357 c.p.. La configurabilità della fattispecie di peculato, più grave rispetto al delitto di appropriazione indebita che, presuppone, invero, la qualificazione di P.U. in capo al soggetto agente.
Per risolvere il quesito, la Corte di Cassazione ha innanzi tutto ribadito, che -ai fini della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale – non rileva l’investitura formale e regolare di una carica pubblica o di uno status connesso al rapporto di impiego con lo Stato od altro ente pubblico, quanto piuttosto, fuori dai casi di usurpazione, l’esercizio di fatto di funzioni che possano essere definite pubbliche.
La valorizzazione dell’esercizio di fatto delle funzioni si impone, a maggior ragione, dopo la riforma del 1990, a fronte dell’evoluzione dell’ordinamento verso una concezione “oggettiva” della funzione pubblica e del relativo esercente. Ne discende che, ai fini della qualifica di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio non conta l’investitura formale quanto piuttosto l’esercizio di fatto della funzione e del servizio pubblico.
In questa logica, partendo dall’assunto secondo il quale l’art. 357 c.p. ricollega la qualifica di pubblico ufficiale non al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la pubblica amministrazione, ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto agente e oggettivamente considerata, anche l’amministratore di sostegno svolge una funzione pubblica.
Indici rivelatori del carattere pubblicistico della funzione, si rinvengono nella circostanza che l’incarico è conferito dal giudice e si svolge sotto la direzione e vigilanza del medesimo, che è disciplinato dalle norme del codice civile e che consiste sostanzialmente nello svolgimento di un’attività “ausiliaria” all’esercizio di una funzione giudiziaria.
La Corte di Cassazione conclude, quindi, nel senso che l’amministratore di sostegno, al pari del tutore e del curatore, esplicando un’attività finalizzata alla cura della persona e all’amministrazione dei suoi beni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale.
Nel caso di specie, quindi, non rileva l’allegazione difensiva in ordine alla mancanza di giuramento innanzi al Giudice Tutelare, con la conseguenza che l’eventuale appropriazione di somme delle quali l’imputato sia venuto in possesso per ragione del suo ufficio integra il delitto di peculato e non quello di appropriazione indebita.
La seconda questione concerne il vulnus dell’apparato motivazionale della sentenza nella parte relativa all’accertamento della condotta di appropriazione delle somme con riferimento, in particolare, al prelievo e all’incameramento della somma di 260 mila euro depositata dallo zio del ricorrente sul conto corrente della vittima.
Nel caso di specie, i Giudici del merito hanno fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato sulla base degli accertamenti della Guardia di Finanza, ritenendo non condivisibile la chiave di lettura difensiva, secondo cui la somma di 260 mila Euro era stata donata all’imputato.
La Corte di Cassazione ritiene integrato il vizio di mancanza di motivazione poiché, a fronte di deduzioni difensive di ordine sostanziale munite di substrato anche documentale, il tema non risulta scrutinato in sentenza con il dovuto rigore, essendo le argomentazioni addotte dal giudice di appello a fondamento dell’affermazione di responsabilità prive di completezza in relazione alle specifiche doglianze formulate con i motivi di gravame.
In conclusione, alla luce delle esposte argomentazioni, la Corte di Cassazione rigetta il primo motivo e, in accoglimento del secondo, annulla la sentenza con rinvio, devolvendo al giudice ad quem il compito di rivalutare la fattispecie anche eventualmente esercitando poteri istruttori.
A cura di Azzurra Francazi