Omicidio volontario: aggravante della minorata difesa per il pugile professionista

Cass. Sez. I, 26 marzo 2025, n. 11985
LA MASSIMA
L’agente, esperto di Boxe, che prende a pugni una persona, facendola cadere a terra, causandone così la morte, risponde di omicidio volontario aggravato dall’avere fatto uso di particolari tecniche di combattimento tali da annientare la privata difesa della vittima.
IL CASO
Un uomo, a seguito di uno scambio di provocazioni verbali, da cui è nata una colluttazione, ha sferrato un pugno al volto della persona offesa, causandogli una emorragia encefalica, che lo ha condotto al decesso.
La Corte di Assise di Appello ha confermato la sentenza della Corte di Assise, la quale condannava l’imputato per il delitto di omicidio volontario, aggravato dai futili motivi e dall’aver commesso il fatto attraverso l’uso di speciali tecniche di combattimento idonee da ostacolare la privata difesa, e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condannava alla pena complessiva di anni ventuno di reclusione.
LA QUESTIONE
All’interno del ricorso per Cassazione, la difesa, con il primo motivo di impugnazione, denuncia l’inosservanza di legge in relazione all’art. 584 cod. pen., per l’erronea qualificazione del fatto nell’ipotesi prevista dall’art. 575 cod. pen.
Con il terzo motivo di impugnazione, infine, la difesa lamenta vizio di motivazione in relazione agli artt. 577, n. 4, e 61, n. 5, cod. pen. e travisamento della prova.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte, ripercorrendo ex ante i momenti salienti della condotta dell’agente, afferma che, grazie alla sua accertata pregressa esperienza come boxeur, il suo avere agito nella consapevolezza che, colpendo con estrema forza il volt della vittima, quest’ultima sarebbe caduta rovinosamente a terra, la sua condotta è idonea ad integrare “l’accettazione del rischio dell’evento morte”.
Per i Giudici di legittimità, il decesso, nonostante sia avvenuto a causa di una emorragia encefalica correlata alle fratture riportate nella zona del cranio, si pone come conseguenza altamente probabile della condotta dell’agente.
Dunque, la Corte sottolinea che va riconosciuta la minorata difesa in capo alla vittima, poiché il fatto è stato commesso da un soggetto con particolari abilità nel combattimento, il quale colpiva improvvisamente la vittima, che non era vigile perché colta di sorpresa, in un contesto ambientale critico, trovandosi in una strada stretta e buia.
Per quanto concerne la mancata difesa della persona offesa, ciò non è ricollegabile, secondo la Corte ed al contrario di quanto sostenuto dalla difesa, all’effetto di sostanze alcoliche da essa precedentemente assunte.
Infatti, grazie anche alla visione di video che riprendevano la vittima istanti prima dello scontro, si è potuto affermare che il tasso alcolemico riscontrato in quest’ultima non è risultato sufficiente per compromettere la sua stabilità motoria e i suoi riflessi.