Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Omicidio stradale: accertamento della causalità della colpa

Cass. pen., Sez. IV, 13 dicembre 2024, sentenza n. 45826

MASSIMA
“Nell’ambito del giudizio controfattuale, occorre verificare l’elevata credibilità logica o l’evidenza del probabile dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili”.

IL CASO
La vicenda processuale approdata dinanzi alla Corte di Cassazione trae origine dalla decisione con cui la Corte d’appello,
in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale nei confronti dell’imputato in relazione al delitto di omicidio stradale di cui all’art. 589 bis c.p., aveva riconosciuto la circostanza aggravante di cui all’art. 589 bis, comma 5, n. 3, c.p. e le circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena e confermando la condanna per il delitto a lui contestato. Nel dettaglio, il processo riguardava un incidente stradale in cui l’imputato, alla guida di un motoveicolo, procedendo a una velocità non adeguata alle condizioni del traffico, effettuava una repentina manovra di sorpasso a destra del motoveicolo che lo precedeva e, in prossimità di un attraversamento pedonale, investiva un pedone, provocandogli gravissime lesioni, in conseguenza delle quali, quest’ultimo decedeva pochi giorni dopo.
All’imputato erano addebitati, quali profili di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia, nonché la violazione degli artt. 141 e 148 D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285.
Ebbene, avverso il provvedimento di secondo grado, la difesa dell’imputato interponeva tempestivo ricorso per Cassazione, articolando le proprie censure in dieci motivi di gravame.
Quanto al primo, secondo e terzo motivo, il ricorrente deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione sub specie travisamento della prova, in relazione alla ricostruzione della dinamica dell’incidente sotto il profilo della presenza sul tratto di strada di altre macchine e pedoni; nel punto in cui la vittima stava attraversando; alla velocità di marcia del motociclo e all’avvenuto sorpasso sulla destra di altri due motocicli da parte del motociclo condotto dall’imputato.
Con il quarto motivo, si deduceva la violazione di legge in relazione alla configurazione dell’aggravante di cui all’art. 589 bis c.p., comma 5, n. 3, c.p. Sul punto, la difesa precisava che l’ipotesi di omicidio aggravato si configurava nel caso in cui conducente di un veicolo a motore avesse sorpassato un altro veicolo che si fosse fermato o stesse rallentando per consentire ai pedoni di attraversare sugli appositi attraversamenti, come previsto dall’art. 148, comma 13, CdS. Tale aggravante avrebbe potuto concretizzarsi solo nel caso in cui il conducente di un veicolo a motore che effettua il sorpasso, in presenza di striscia orizzontale continua, per compiere tale manovra fosse stato costretto a superare anche solo in parte la stessa striscia con il proprio veicolo; qualora, invece, per le dimensioni della strada o dei veicoli, la manovra di sorpasso non avesse richiesto il superamento della predetta linea continua, non ricorrerebbe l’omicidio aggravato. Ciò premesso, a detta del ricorrente, il tratto stradale interessato dal sinistro si caratterizzava per essere un’ampia strada a senso unico senza carreggiate e linea orizzontale di mezzaria, nella quale era consentito il transito in parallelo di diversi veicoli. Pertanto, secondo la difesa, il giudicante aveva errato nel valutare la condotta dell’imputato come sorpasso e non già come mero superamento.
Con il quinto motivo, il ricorrente deduceva il vizio di motivazione per non aver la Corte esaminato, anche solo implicitamente, i motivi aggiunti con cui si era eccepito il concorso di colpa del pedone per violazione dell’art. 190 CdS e la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, c.p.
Con il sesto motivo di gravame, si deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell’elaborato del consulente tecnico dell’imputato. Il ricorrente asseriva che i Giudici di merito non avessero valutato adeguatamente le conclusioni e gli argomenti scientifici posti a sostegno della difesa.
Con il settimo e ottavo motivo, il ricorrente deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al nesso di causa tra la condotta dell’imputato e l’evento dannoso. Secondo la difesa, il giudice di secondo grado si era limitato ad affermare che se l’imputato avesse tenuto una velocità meno sostenuta, e se non avesse effettuato il sorpasso, l’evento non si sarebbe verificato. Sarebbe, dunque, mancato un ragionamento esplicativo su cosa sarebbe accaduto se l’imputato avesse tenuto un comportamento rispettoso delle norme sulla circolazione stradale.
Con il nono ed il decimo motivo, si deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla diminuzione della pena, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore alla massima estensione. Il difensore censurava la contraddizione in cui era incorsa la Corte nell’applicare la pena base prevista per il reato contestato e nel computare le circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p. in misura inferiore al massimo consentito. Censurava, altresì, la valorizzazione da parte della Corte della mancata resipiscenza dell’imputato, in contrasto con il diritto di difesa costituzionalmente garantito, e del precedente specifico, peraltro dichiarato estinto a seguito dello svolgimento di lavori di pubblica utilità.

LA QUESTIONE
La Corte è chiamata a chiarire in che modo, nel giudizio controfattuale, la condotta omessa dall’autore del reato possa assurgere a ruolo salvifico in grado di evitare il verificarsi dell’evento.

LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso.
Con riferimento ai primi tre motivi, con i quali si censurano i presunti travisamenti dei dati probatori, la Corte ha ritenuto le censure meramente reiterative delle doglianze già formulate in Appello, confermando l’operato dei giudici di merito e la logicità e coerenza della loro motivazione. Nell’argomentare sul punto, la Corte ha ribadito che nel caso in cui il Giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Cass. II Sez., 12 giugno 2019, n. 37295). Sotto il profilo del travisamento della prova, il Collegio ha ricordato che detto vizio consiste non già nell’errata interpretazione della prova, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione. Ebbene, sotto l’apparente denominazione del vizio del travisamento, il ricorrente ha introdotto una censura inammissibile, ovvero una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità, a fronte di una ricostruzione del sinistro da parte dei giudici di merito non manifestamente illogica e coerente con le risultanze richiamate e, perciò, non sindacabile.
Circa il quarto motivo, il Collegio ha precisato che la circostanza di cui all’art. 589 bis comma 5 n, 3, c.p. prevede un aggravamento di pena, fra l’altro, per il conducente di un veicolo a motore che, a seguito di un sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona. Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che le videoriprese acquisite documentavano che l’imputato aveva raggiunto e superato con manovra repentina sulla destra i veicoli che lo precedevano e che avevano rallentato in prossimità dell’attraversamento e ha ritenuto, pertanto, sussistente l’aggravante su indicata. Ritenendo corretta l’interpretazione fornita dai Giudici dell’appello che, sulla scorta del circolare del Ministero dell’Interno del 25 marzo 2016, hanno recepito in sede penale la disposizione di cui all’art. 148, comma 13, CdS.
Quanto al quinto motivo, il Collegio lo ha ritenuto inammissibile chiarendo che, nel caso in esame, i motivi aggiunti, attinenti al concorso di colpa della vittima ed al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 589, comma 7, c.p., in quanto tesi ad introdurre censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione, non potevano essere dedotti, sicché nessuna omissione può essere imputata alla Corte di Appello. A sostegno di tale argomentazione, la Corte ha richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali in forza dei quali i motivi aggiunti per essere ammissibili, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581 lett. a) c.p.p., ovvero rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione dei motivi principali (Cass. Sez. U, 25 febbraio 1998, n. 4683; Cass. VI Sez., 6 ottobre 2020, n. 5447; Cass. VI Sez., 30 settembre 2020, n. 36206).
Con riferimento al sesto motivo, contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente, a parere dei giudici di legittimità, la Corte ha espressamente preso in esame la ricostruzione del consulente e se ne è discostata con motivazione adeguata e logica, rilevando che essa era fondata su alcuni elementi fattuali smentiti dai dati istruttori (un testimone che aveva riferito dell’impatto fra il motociclo e la vittima; la posizione del corpo della stessa; le tracce di scarrocciamento sull’asfalto). Secondo la Corte, l’iter argomentativo della sentenza impugnata, oltre che logico e coerente, è altresì conforme al principio per cui, in virtù del principio del libero convincimento del giudice, attingibile da qualsiasi atto legittimamente acquisito al processo, il giudice del merito può trarre argomento di convinzione dalla relazione del consulente tecnico di parte, così come può non condividerne le conclusioni, ma in tal caso deve provvedere alla esposizione sintetica delle ragioni che lo hanno indotto a non ritenere valido il parere del tecnico di parte (Cass. III Sez., 25 ottobre 2017, n. 13997). Peraltro, si ricorda che, a fronte della motivazione con cui il giudice in maniera accurata ed approfondita dia conto delle ragioni del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti, ove la valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. IV Sez., 13 febbraio, n. 8527).
Con riferimento al settimo e ottavo motivo, la Corte ha chiarito che la valutazione processuale del ruolo salvifico della condotta omessa non possa che culminare in un giudizio ipotetico, con l’avvertenza che si tratti di un giudizio ipotetico che si svolge alla luce del “paradigma indiziarlo” disponibile (Cass. IV Sez., 17 settembre 2010, n. 43786). In tal caso, al giudice si impone una puntuale analisi delle particolarità del caso concreto, che potrà condurre a un giudizio di elevata credibilità logica o di evidenza del probabile, indipendente da rigide quantificazioni statistiche, strettamente correlato alle caratteristiche del caso concreto sulla base di un ragionamento probatorio non incerto. In sostanza, ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica o l’evidenza del probabile dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili (Cass. IV Sez., 24 febbraio 2021, n.16843). E ciò perché il giudizio controfattuale mediante il quale si riconduce all’evento una condotta omissiva, seguendo il ragionamento logico per cui il nesso causale sussiste solo nel caso in cui il comportamento alternativo corretto avrebbe avuto efficacia salvifica, è un giudizio ipotetico che si muove su un piano diverso da quello della stretta e reale successione cronologica degli eventi.
Nel caso in esame, il ricorrente obiettava che la Corte non avrebbe motivato in ordine al giudizio controfattuale, ovvero non avrebbe indicato cosa fosse accaduto se l’imputato avesse tenuto un comportamento rispettoso delle norme sulla circolazione stradale, quando invece la sentenza impugnata si era soffermata in maniera adeguata anche su tale profilo, rilevando che una velocità ridotta, quale quella tenuta dei conducenti degli altri veicoli presenti sul tratto di strada in oggetto, e il mancato sorpasso sulla destra in ragione del luogo di impatto prossimo al margine destro della carreggiata, avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.
Con riferimento al nono e decimo motivo di gravame, la Corte li ha ritenuti manifestamente infondati e inammissibili per difetto di specificità. Il Giudice delle leggi ha ribadito il principio per cui la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Cass. II Sez., 26 gennaio 2021, n. 17347).
Muovendo dalle suesposte argomentazioni, la Corte ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.