Cassazione, Diritto Processuale Penale, Sentenze

Mutamento del fatto contestato e principio di correlazione tra imputazione e sentenza

Cass. pen., Sez. IV, 13 agosto 2025, sentenza n. 29480

LA MASSIMA

“In relazione al combinato disposto degli artt. 521 e 522, c.p.p., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga ad una incertezza sull’oggetto dell’imputazione e scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
In particolare, l’indagine non deve esaurirsi nel mero confronto tra contestazione e sentenza poiché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l’imputato abbia avuto, durante l’iterprocessuale, la concreta possibilità di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”.

IL CASO

La vicenda processuale riguarda una c.d. doppia conforme per cui, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, i giudici di legittimità hanno fatto riferimento alle sentenze di primo e secondo grado che, lette congiuntamente, confluiscono in un risultato organico e inscindibile.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado con la quale l’imputato, previa riqualificazione dei fatti di cui agli artt. 590-bis e 590-ter, c.p., è stato condannato per i reati previsti dagli artt. 590, c.p. e 189, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
Precisamente, l’odierno ricorrente nell’effettuare alla guida del proprio motociclo una manovra di inversione di marcia non consentita ha provocato la caduta di un altro conducente.
Avverso la decisione di merito la difesa ha presentato ricorso per Cassazione, articolando più motivi.
In primis il ricorrente ha censurato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., il difetto di correlazione tra fatto ascritto e fatto ritenuto in sentenza, essendo valutato sussistente il reato previsto dall’art. 189, d.lgs. 285/92 in luogo della circostanza aggravante ex art. 590-ter, c.p.
Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), c.p.p., l’erronea applicazione dell’art. 603, c.p.p. in quanto, dato il contrasto tra quanto riferito dall’imputato e quanto riferito dalla persona offesa, non poteva giungersi a una ricostruzione certa dell’accaduto. Secondo la tesi difensiva i giudici di merito avevano illogicamente ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa anziché procedere, soprattutto in virtù della riqualificazione del fatto, alla rinnovazione dell’istruttoria mediante l’escussione dei soggetti indicati nella richiesta di cui all’art. 507, c.p.p.
L’erronea valutazione delle dichiarazioni della persona offesa è stata argomentata anche nel successivo motivo di ricorso.
Da ultimo, il ricorrente ha contestato la mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis, c.p., nonché una richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della provvisionale data la mancanza di motivazioni a fondamento.

LA QUESTIONE

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda il possibile mutamento del fatto originariamente imputato e il mancato rispetto del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza.
In particolare, ad avviso della difesa l’originario capo di imputazione (art. 590-bis e 590-ter, c.p.) è stato oggetto di una irrituale modifica da parte del p.m. e ha determinato la nullità della sentenza per la mancata correlazione con il fatto originariamente contestato.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, nel ribadire principi ormai consolidati in giurisprudenza, ha dichiarato il ricorso infondato.
Quanto al motivo relativo al mutamento del fatto e alla conseguente violazione del principio di correlazione, i giudici di legittimità hanno richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite in materia di error in procedendo (Cass. Sez. Un., 31 ottobre 2001, sentenza n. 42792). Invero, quando con il ricorso si deduce un error in procedendo la Corte di legittimità diventa giudice del fatto e, pertanto, può accedere all’esame diretto degli atti processuali.
Ciò premesso, ai fini della configurabilità effettiva del mutamento del fatto, è necessaria una radicale trasformazione della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo da determinare una reale incertezza circa l’oggetto dell’imputazione e un conseguente pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine non deve esaurirsi nel mero confronto tra contestazione e sentenza poiché la violazione del diritto di difesa risulta insussistente quando l’imputato abbia avuto, nel corso dell’iter processuale, la concreta possibilità di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Nel caso di specie non vi è stata una concreta modifica dell’originaria imputazione, piuttosto una richiesta da parte del p.m. di riqualificazione dei fatti ascritti sotto la specie degli artt. 590, c.p. e 189, c.d.s.; riqualificazione, peraltro, dovuta alla l. 23 marzo 2016, n. 41 (che ha determinato la modifica dell’art. 590-bis, c.p.) e all’inapplicabilità dell’art. 590-ter, c.p. (in quanto riferito solo alle ipotesi di lesioni gravi o gravissime di cui all’art. 590-bis, c.p.).
In relazione alla mancata integrazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, c.p.p., i giudici della IV Sezione hanno evidenziato il carattere eccezionale della stessa. Precisamente, la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello è connessa ai principi di assoluta necessarietà e decisività della prova. Trattandosi di una evenienza eccezionale, in sede di legittimità il ricorrente deve dimostrare che l’apparato motivazionale della decisione impugnata sia affetto da manifesta illogicità o presenti una grave lacuna che sarebbe stata presumibilmente evitata con l’assunzione di determinate prove nel giudizio di secondo grado. Tale doglianza, inoltre, può essere dedotta ex art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata espressamente chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, c.p.p.
Nel caso di specie la parte si è limitata a sollecitare il giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di cui all’art. 507, c.p.p., sicché non è ravvisabile alcun obbligo di rinnovazione istruttoria.
Quanto alla censura sulla ricostruzione fenomenica operata dalla persona offesa, la Corte, in linea con il principio sancito dalla Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., 19 luglio 2012, sentenza n. 41461), ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, “possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato”. Ciò premesso, la ricostruzione prodotta dalla persona offesa è stata espressamente confermata da altri elementi di prova, per cui non è ravvisabile alcuna illogicità della motivazione.
Parimenti infondati sono gli ultimi motivi di ricorso. In riferimento al mancato riconoscimento dell’art. 131-bis, c.p., è stato sottolineato che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una complessa valutazione circa le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo e il grado di colpevolezza. In particolare, il giudice è tenuto ad operare un bilanciamento tra i vari elementi del caso concreto e l’eventuale valutazione negativa, anche di un solo elemento, comporta il diniego della causa di non punibilità.
Infine, il motivo relativo alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della provvisionale è stato ritenuto assorbito per effetto del mancato accoglimento dei precedenti motivi di ricorso.

Nota a cura di Mariarosaria Cristofaro