Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Maltrattamenti tra coniugi separati ma non divorziati. Non sono atti persecutori

Cass. pen., Sez. VI, 5 maggio 2025, sentenza n. 16652
LA MASSIMA
“Integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza. La separazione, infatti, è condizione che non elide lo “status” acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall’art. 143, comma 2, cod. civ.”
IL CASO
Il ricorrente è stato condannato sia in primo che in secondo grado di giudizio per i reati di cui agli articoli 572, comma 1, 378-bis, comma 2 e 388, comma 2 c.p., per aver maltrattato il coniuge e per inottemperanza dell’ordinanza del Tribunale, che aveva disposto l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre. Nei motivi di ricorso, egli ha dedotto anzitutto la non configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, in quanto le condotte sarebbero state poste in essere dopo la cessazione della convivenza. A parere del ricorrente, invero, esse sarebbero da ricondursi alla fattispecie tipica degli atti persecutori (art. 612-bis c.p.). Con ulteriore motivo di ricorso, ha altresì invocato l’assorbimento del reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa nella più ampia fattispecie dei maltrattamenti.
LA QUESTIONE
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia anche quando tra i coniugi sia cessata la convivenza, per separazione legale o di mero fatto. La questione giuridica si inquadra nell’ambito della rilevanza penale del contratto matrimoniale e degli obblighi che ne derivano, nonché sulla rilevanza della situazione di fatto della convivenza tra coniugi.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal condannato, ritenendo che ricorra il reato di maltrattamenti in famiglia anche quando tra i coniugi sia cessata la convivenza, in via di mero fatto e persino a seguito di separazione legale. L’art. 572 c.p. è reato proprio, volto a tutelare l’integrità della famiglia, non soltanto intesa sia come famiglia di diritto, ma altresì come famiglia di fatto, come si evince dalla formulazione letterale della disposizione, che in riferimento alla vittima indica – tra le altre- una “persona della famiglia, o comunque convivente”. Ne discende che il richiamo alla convivenza estende la portata incriminatrice della norma, attribuendo rilevanza giuridica anche ai rapporti famigliari non contrattualizzati, caratterizzati da stabile prossimità tra autore e vittima di reato.
Per converso, la convivenza non è necessaria nel caso in cui tra autore e persona offesa ci sia rapporto di coniugio, poiché il legame famigliare è legalmente riconosciuto. In altri termini, l’assenza della convivenza non è condizione sufficiente ad elidere lo status di coniuge, legalmente tutelato come membro della famiglia fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
In tal senso, il giudice di legittimità recepisce l’orientamento civilistico secondo cui la separazione dei coniugi non elide tout court tutti gli obblighi nascenti dall’art. 143, comma 2 c.c.: le disposizioni in materia di separazione, invero, hanno effetto sulla gestione dei figli e sui rapporti patrimoniali, e sospendono gli obblighi di coabitazione e di fedeltà, ma non intaccano il “nocciolo duro” degli obblighi coniugali, consistenti nell’assistenza morale e materiale e nella collaborazione, che vengono indiscutibilmente violati mediante le condotte maltrattanti.
Soltanto con la cessazione degli effetti civili del matrimonio, attraverso il divorzio, tali obblighi si estinguono e le condotte vessatorie nei confronti dell’ex coniuge vanno ricondotte al delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. Pertanto, le condotte maltrattanti che abbiano avuto origine in ambito domestico, sono inquadrabili nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia, pur se protrattesi anche dopo la cessazione della convivenza.
Infine, la Corte di Cassazione ha respinto la tesi del ricorrente che ha invocato l’assorbimento del delitto di cui all’art 388, comma 2 c.p. nella fattispecie dei maltrattamenti: le due disposizioni concorrono, poiché tutelano differenti beni giuridici, rispettivamente, l’integrità della famiglia e l’autorità delle decisioni giudiziarie.
A cura di Rosanna Mastroserio