Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Maltrattamenti e convivenza intermittente: persiste il reato abituale

Cass. pen., Sez. VI, 12 maggio 2025, n. 17857
LA MASSIMA
“I periodi temporanei di interruzione della convivenza sotto lo stesso tetto non escludono la sussistenza del delitti di maltrattamenti contro familiari o conviventi”.
IL CASO
La Corte d’Appello territorialmente competente, nel confermare la sentenza del Tribunale di primo grado, ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 572, commi primo e secondo, per avere lo stesso, con vessazioni, insulti e aggressioni fisiche e verbali, maltrattato la convivente e la figlia.
Avverso tale pronuncia, il ricorrente ha presentato ricorso per Cassazione ex art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. articolandolo in tre motivi.
Con il primo di essi, ha dedotto l’erronea valutazione della prova dichiarativa inerente, da un lato, all’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e, dall’altro, alla sottovalutazione delle dichiarazioni rese dai testimoni della difesa.
Con il secondo, ha contestato la sussistenza dell’aggravante di cui al comma secondo dell’art. 572 c.p., non avendo la Corte accertato l’abitualità delle condotte, la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nella minore e la valutazione del danno dalla stessa patito.
Con il terzo, infine, ha lamentato l’erronea qualificazione giuridica dei fatti, da considerarsi ai fini dell’art. 612-bis c.p. in ragione dell’assenza di stabile convivenza, della sopravvenuta cessazione del vincolo affettivo o della mancanza di attualità del medesimo.
LE QUESTIONI
Il Supremo Consesso ha colto l’occasione per ribadire i consolidati principi in merito alla struttura della circostanza aggravante ad effetto speciale della violenza assistita di cui all’art. 572, comma 2, c.p. e ai rapporti tra i reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori aggravati di cui agli artt. 572 e 612-bis, comma 2, c.p.
Il ricorrente, in particolare, sosteneva che l’integrazione della fattispecie aggravata di cui all’art. 572, comma 2, c.p. fosse subordinata alla valutazione, tramite consulenza medica, del danno effettivamente patito dalla minore a causa delle assistite condotte vessatorie.
La difesa riteneva altresì che l’interruzione della convivenza imponesse la riqualificazione giuridica dei fatti nel delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p. c.p. piuttosto che nella più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, in armonia con le precedenti decisioni sul punto, ha rigettato tutti i motivi di ricorso per le motivazioni di seguito riportate.
È stato rilevato, preliminarmente, che quello della Cassazione è giudizio di legittimità a critica vincolata, sicchè deve ritenersi preclusa la possibilità di ottenere una nuova valutazione del quadro probatorio da sostituire a quella già effettuata dal giudice di merito.
Ne deriva, in questo solco, il rigetto dei primi due motivi di ricorso, poiché diretti ad ottenere la rivalutazione delle risultanze processuali, ovvero il carattere abituale delle condotte vessatorie, a fronte di una motivazione logica e consequenziale.
Quanto alla struttura dell’aggravante di cui all’art. 572, comma 2, c.p., il Supremo Consesso, in armonia con la propria giurisprudenza, ha ribadito che la c.d. “violenza assistita” non richiede l’accertamento medico del danno patito dal minore a causa degli assistiti episodi di maltrattamento.
È sufficiente, per converso, che il numero, la qualità e la ricorrenza degli avvenimenti cui il minore assiste siano idonei a creare il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.
I giudici di legittimità, inoltre, hanno nuovamente tratteggiato il confine che separa il delitto di maltrattamenti in famiglia dal reato di atti persecutori.
È stato chiarito, in particolare, che il discrimen tra le fattispecie insiste nell’ambito di operatività dell’art. 612-bis, comma 2, c.p., in quanto destinato residualmente ad operare in situazioni in cui vengono in considerazione condotte maturate fuori dall’ambito familiare.
L’art. 572 c.p., invero, tutela il legame giuridico intercorrente fra persone appartenenti alla medesima famiglia ovvero ad un vincolo ad esso assimilabile, sicché non opera allorché risulti la definitiva disgregazione del nucleo familiare, di cui la cessazione della coabitazione è indice.
I periodi temporanei di interruzione della convivenza, tuttavia, non attenuano la rilevanza penale delle condotte vessatorie, né tantomeno degradano il fatto in atti persecutori aggravati ex art. 612-bis, comma 2, c.p., ogniqualvolta sia accertata la permanenza del vincolo relazionale.
La giurisprudenza di legittimità, in questo solco, ha chiarito che nella “convivenza” di cui all’art. 572 c.p. rientra anche la coabitazione non necessariamente continuativa, ossia la situazione di fatto di coloro che, per varie ragioni, dimorano in un luogo diverso dall’abitazione comune per periodi più o meno lunghi, ma comunque circoscritti.
La Suprema Corte, infine, ha confermato l’iter motivazionale dei giudici di merito e, stante l’infondatezza delle censure sollevate, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A cura di Luigi Enrico Cortellino