Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

L’evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti

Cass. pen., Sez. VI, 5 giugno 2025, sentenza n. 21224

LA MASSIMA

“L’evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti può, invero, essere integrato, oltreché dall’impedimento della gara o dall’allontanamento degli offerenti, anche dal mero turbamento e, in tale ultima evenienza, in coerenza con la natura di reato di pericolo della fattispecie, non è necessario il prodursi di un danno effettivo alla regolarità della gara, essendo sufficiente un danno anche solo mediato e potenziale, costituito dalla semplice “idoneità” ad influenzare l’andamento di essa che non necessariamente si traduca in una effettiva alterazione dei suoi risultati”.

IL CASO

La Cassazione si è pronunciata sul ricorso avente ad oggetto la decisione dalla Corte d’appello che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti di uno degli imputati e confermato, invece, le ulteriori statuizioni.

In particolare, uno degli imputati è stato ritenuto responsabile per il reato ex art. 353-bis c.p., per avere erogato, nella sua qualità di dirigente pubblico, un contributo in favore di un centro culturale senza osservare l’obbligo di avviso pubblico previsto dalla legge regionale; entrambi gli imputati, invece, sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 353 c.p., per aver turbato la selezione indetta per la realizzazione di iniziative culturali, conclusasi con l’assegnazione del contributo previsto ad una associazione diversa da quella risultata originariamente assegnataria.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso i difensori delle parti, denunciando:

-la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, per l’assenza di riscontro di una violazione della normativa regionale;

– vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di turbata libertà degli incanti, evidenziando, in particolare, che le condotte tenute risultavano ininfluenti all’alterazione della gara e non costituivano mezzi collusivi;

-la violazione ed erronea applicazione dell’art. 110 c.p. per non aver gli imputati espresso una reale partecipazione alla fase ideativa o preparatoria del reato.

LA QUESTIONE  

Le questioni al vaglio della Corte vertono sulla tipicità della condotta rilevante ex art. 353-bis c.p. e sulla configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti ex art. 353 c.p.

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, difettando la condotta  tipica richiesta dall’art. 353-bis c.p.

Nel caso di specie, si è contestato alla ricorrente di avere autorizzato l’erogazione di un contributo in violazione dell’obbligo di adozione della procedura selettiva per pubblici avvisi previsto dalla legge regionale.

Sul punto, dall’analisi del dato normativo emerge che la selezione mediante pubblici avvisi, implicante una valutazione comparativa tra gli aspiranti sulla base di criteri predefiniti, costituisca la procedura ordinaria di scelta del contraente; tuttavia, il sintagma “iniziative dirette regionali”, pur non esplicitamente definito nel suo significato, evoca una modalità di individuazione del contraente svincolata da criteri di scelta determinati ex ante, ma rimessa, invece, alla discrezionalità dell’amministrazione.

Dunque, è la stessa disposizione ad ammettere, in deroga alla procedura ordinaria, una procedura selettiva destrutturata e priva di un segmento valutativo concorrenziale, segmento che risulta un elemento essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 353-bis c.p.

A tal proposito, è necessario precisare che il reato ex art. 353-bis c.p.  è una fattispecie intesa a tutelare l’interesse della pubblica amministrazione a contrarre con il miglior offerente; pertanto ai fini del perfezionamento è necessario che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara e sia, quindi, alterata in concreto la scelta del contraente, indipendentemente da effettive modifiche dell’atto.

Si è così consolidato l’orientamento per cui il delitto in questione è configurabile quando, ai fini della scelta, sia prevista una “gara”, seppure informale o di consultazione, mentre non lo è nell’ipotesi in cui il procedimento di selezione sia svincolato da ogni schema concorsuale, ovvero quando la decisione di procedere all’affidamento diretto sia essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte ad evitare la gara.

L’art. 353-bis c.p. punisce la condotta finalizzata a inquinare il contenuto del bando di gara o di atti analoghi; per cui non è perturbatrice quella condotta che esprime una diffusa “mala gestio” dell’amministrazione, senza condizionare la scelta del contraente.

Ciò posto, in assenza di una gara e di un contratto, è preclusa l’applicazione della norma incriminatrice ex art. 353-bis c.p.

A giudizio della Corte anche il secondo motivo appare fondato.

La responsabilità per il reato di turbata libertà degli incanti ha ad oggetto le interferenze poste in essere dagli imputati nel procedimento di selezione indetto per la realizzazione di iniziative culturali destinatarie di finanziamenti.

Da tali condotte, a parere del giudice di prime cure, sarebbe scaturita la definitiva assegnazione del contributo in favore di un’associazione culturale benché, a seguito della riscrittura della graduatoria, fosse stata designata quale assegnataria un’associazione diversa.

In primo luogo, i giudici evidenziano che nella vicenda in esame appare incontestabile l’esistenza di un bando contenente l’indicazione dei requisiti per la valutazione comparativa degli aspiranti in vista dell’erogazione di un finanziamento per la realizzazione di iniziative culturali, esistenza corroborata dall’esplicito riferimento, nella sentenza di primo grado, ad un contratto di appalto.

L’attività posta in essere da uno degli imputati appariva orientata ad influire sulla scelta del contraente dello stipulando contratto di servizi, risolvendosi in un’interferenza sull’iter amministrativo idonea ad ottenere la conferma della prima graduatoria che assegnava il contributo all’associazione culturale originaria aggiudicataria.

È evidente, quindi, che tale condotta sia astrattamente idonea ad incidere sul libero gioco della concorrenza, e sia, come tale, riconducibile al paradigma dell’art. 353 c.p.

Come chiarito dalla Corte, l’evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti può essere integrato, oltre che dall’impedimento della gara o l’allontanamento degli offerenti, anche dal mero turbamento e, in tale ultima evenienza, in coerenza con la natura di reato di pericolo della fattispecie,

non è necessario il prodursi di un danno effettivo alla regolarità della gara, essendo sufficiente un danno anche solo mediato e potenziale, costituito dalla semplice “idoneità” ad influenzare l’andamento di essa, che non necessariamente si traduca in una effettiva alterazione dei suoi risultati.

Così ricostruiti gli elementi qualificanti la fattispecie, la Suprema Corte, constatando anche l’assenza di ricostruzione delle intese collusive tra imputati e il beneficiario dell’aggiudicazione – trattandosi di un elemento di struttura della fattispecie previsto dalla norma incriminatrice – ha ritenuto fondati i vizi di motivazione di tenore omissivo denunciati dalle parti.

Rilevando in sede di legittimità la sopravvenuta estinzione del reato di cui all’art. 353 c.p. per intervenuta prescrizione, unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla responsabilità dell’imputato, la Corta ha annullato senza rinvio la sentenza e rinviato al giudice competente per un nuovo giudizio su tale capo in relazione alle statuizioni civili.

Nota a cura di Emilia Bruno