L’elemento soggettivo della ricettazione a confronto con il dolo di favoreggiamento

Cass. pen., Sez. II, 13 maggio 2025, sentenza n.23918
LA MASSIMA
“Nell’ipotesi di occultamento di un oggetto costituente provento di reato, il reato di ricettazione si perfeziona laddove l’agente, a differenza del reato di favoreggiamento, operi con dolo specifico, caratterizzato dal fine di trarre profitto per sé o per terzi dalla condotta ausiliatrice”.
IL CASO
Il presente caso trae origine dal ricorso per Cassazione presentato dall’imputata avverso la decisione della Corte territoriale con la quale veniva affermata la penale responsabilità della stessa per la commissione del reato di ricettazione ex art. 648 c.p., con relativa condanna a mesi 10 giorni 20 di reclusione ed euro 400,00 di multa. La ricorrente, con il primo motivo di ricorso si doleva della violazione degli artt. 182, 421 e 441 c.p.p., e 24 Cost., nonché della nullità della sentenza di primo grado a causa del rigetto della domanda di esame dell’imputata avanzata nel corso del giudizio abbreviato. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte d’Appello competente avrebbe erroneamente ritenuto insussistente l’invocata nullità sul presupposto che l’imputata fosse stata sottoposta ad interrogatorio di garanzia e fosse stata messa nelle condizioni di rendere spontanee dichiarazioni nel corso del giudizio abbreviato. Peraltro, i giudici di merito evidenziavano quanto la richiesta di giudizio abbreviato non fosse stata condizionata dalla richiesta dell’esame dell’imputata, da formulare al momento della presentazione della domanda di definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato ai sensi dell’art. 438 c.p.p. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente lamentava il travisamento della prova e la carenza, la contraddittorietà, nonché l’illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione. Nello specifico, a giudizio della Corte territoriale, la sussistenza dell’elemento soggettivo sarebbe stata desunta dal contenuto delle conversazioni intercettate, senza tenere conto di altri elementi rilevanti ai fini della loro interpretazione, quali il dato cronologico e le successive dichiarazioni dell’imputata. Il terzo motivo di impugnazione poi, si concentra sull’inosservanza e sull’erronea applicazione degli articoli 378 e 648 c.p., conseguente alla mancata riqualificazione del reato di ricettazione in favoreggiamento. In particolare, secondo la parte ricorrente, la motivazione sarebbe carente degli elementi probatori atti a fondare la sussistenza del reato di ricettazione in luogo di quello di favoreggiamento, essendosi limitata a riconoscere la sussistenza del dolo specifico di procurare a sé o a terzi un profitto, anziché la volontà di aiutare l’autore del delitto presupposto ad assicurarsi il prodotto, prezzo o profitto del reato che caratterizza l’elemento soggettivo del reato di favoreggiamento.
LA QUESTIONE
Nella sentenza in commento, la Corte torna a pronunciarsi sulla differenza tra il reato di ricettazione e quello di favoreggiamento, soffermandosi sull’elemento soggettivo e, dunque, sul dolo specifico di procurare a sé o a terzi un profitto che caratterizza il delitto di cui all’art. 648 c.p.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile. Quanto al primo motivo esso è stato preliminarmente ritenuto tardivamente dedotto; tuttavia, in merito alle deduzioni in tema di nullità della sentenza a seguito del rigetto della domanda di esame dell’imputata nel corso del giudizio abbreviato, la Corte ha ribadito il consolidato principio secondo cui sia un fondamentale diritto dell’imputato essere sottoposto ad esame qualora ne faccia rituale richiesta, a nulla rilevando che questa non sia avvenuta contestualmente alla scelta del rito o che il rito abbreviato non sia condizionato all’esame dell’imputato. Di conseguenza, in caso di diniego della richiesta di esame avanzata nel corso del giudizio abbreviato, sarebbe integrata nullità a regime intermedio, da eccepire tempestivamente dalla parte che vi assiste immediatamente dopo il suo compimento. Nel caso di specie, tuttavia, la difesa nulla ha eccepito nel corso del giudizio abbreviato, con conseguente non deducibilità della nullità ai sensi dell’art. 182 c.p.p. Quanto al secondo e terzo motivo, invece, essi sono stati ritenuti esclusivamente articolati in fatto, con la conseguenza di porsi al di fuori dei confini del giudizio di legittimità. Invero, come è noto, la Suprema Corte non annovera tra i propri poteri quello di reinterpretare gli elementi probatori posti a fondamento della decisione, né tantomeno quello di adottare nuovi e diversi criteri attraverso cui valutare i fatti. Allo stesso tempo, i motivi sono stati ritenuti aspecifici e ripetitivi nel presentare le medesime doglianze relative alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già avanzate in sede di appello. Infine, il supremo consesso ha ritenuto comunque idonei gli elementi addotti alla base della penale responsabilità dell’imputata per il reato di ricettazione, coerentemente con la doppia conforme, considerata non censurabile sotto il profilo della completezza, razionalità e fondata su apprezzamenti di fatto logici e non contraddittori, perciò insindacabili in sede di legittimità. Invero, la Suprema Corte ha ritenuto coerenti le soluzioni adottate dalle sentenze dei gradi precedenti, apprezzando il ragionamento giuridico condotto sulla scorta dei tradizionali canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove. In particolare, guardando all’elemento soggettivo la Cassazione ha riconosciuto quanto la Corte d’Appello si sia attenuta all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo cui in caso di occultamento di un oggetto costituente provento di reato, la ricettazione si perfeziona laddove l’agente — diversamente dal favoreggiamento — operi con dolo specifico caratterizzato dal fine di trarre profitto per sé o per terzi dalla condotta ausiliatrice (Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 11 luglio 2014, sentenza n. 30744; Cass. Pen., Sez. II, 12 marzo 2018, sentenza n. 10980). Sul punto, si nota come, secondo un percorso argomentativo privo di vizi logici o incongruità, la ricorrente sia stata animata sin dal principio dall’ottenere un vantaggio patrimoniale attraverso le condotte ausiliatrici di ricezione del provento criminoso, andando ben oltre la mera ricezione materiale del provento stesso. Pertanto, la rappresentazione e volontà della provenienza illecita del bene si accompagna necessariamente all’intenzione di trarre profitto da quel bene, attestandosi quindi ben oltre i confini del favoreggiamento, rispetto al quale invece, la condotta sia attesta sulla sola condotta ausiliatrice volta a mettere al sicuro il provento di reato, senza finalità di profitto. Pertanto, diversamente dalla ricettazione, l’elemento soggettivo richiesto è il solo dolo generico, ovvero consapevolezza della provenienza delittuosa e volontà di prestare ausilio all’autore del reato presupposto per assicuragli il provento della sua attività criminosa.
Nota a cura di Beatrice Parente (dottoranda di ricerca)