Legittima difesa: presupposti e limiti

Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2025, sentenza n. 12855
LA MASSIMA
“La scriminante della legittima difesa è configurabile solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione. All’opposto, è da ritenersi insussistente qualora l’agente abbia avuto la possibilità di evitare lo scontro con l’antagonista fuggendo oppure allontanandosi dall’aggressore senza pregiudizio. Sotto il profilo dell’adeguatezza della reazione dell’imputato ad un’offesa ingiusta, non rispetta i criteri di proporzionalità e immediata necessità, l’erogazione di sostanza urticante contro il presunto aggressore, ben potendo l’imputato salvaguardare la propria incolumità allontanandosi o invocando l’aiuto di terzi.”
“La bomboletta spray urticante al peperoncino è strumento ontologicamente e funzionalmente deputato ad arrecare offesa della persona”.
IL CASO
L’imputato, per mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello, che ha confermato la penale responsabilità dello stesso, per il reato di cui agli artt. 582, 585, comma 2, c.p., consistito nell’aver cagionato abrasioni corneali alla persona offesa, spruzzando negli occhi di quest’ultima sostanza urticante contenuta in una bomboletta spray.
Tra i motivi di ricorso, per quanto di interesse, la difesa contesta la mancata applicazione della scriminante della legittima difesa. Il ricorrente, infatti, avrebbe agito per difendersi da una situazione pericolosa, in quanto sarebbe stato – a suo dire – violentemente strattonato al braccio. In tal senso, i giudici di merito avrebbero dovuto concludere per la sussistenza, quanto meno in forma putativa, della scriminante della legittima difesa.
Strettamente connesso è l’ulteriore motivo di doglianza inerente all’applicazione della circostanza aggravante dell’uso di armi. A proposito, si contesta che lo spray contenente sostanza urticante non può considerarsi arma, in quanto rientrante tra gli strumenti di autodifesa, che non hanno alcuna attitudine ad arrecare offesa alle persone.
LA QUESTIONE
Le questioni devolute all’attenzione della Suprema Corte attengono al mancato riconoscimento dell’esimente della legittima difesa e all’applicazione della circostanza aggravante dell’uso di armi, descritta all’art. 585, comma 2, c.p.
Con riferimento al primo profilo, La Corte richiama i presupposti che devono ricorrere ai fini dell’operabilità della scriminante della legittima difesa, descritta dall’art. 52 c.p. Più in particolare, oggetto di indagine è la rilevanza della percezione soggettiva dell’agente sulla condizione di pericolo ai fini della configurabilità della legittima difesa putativa.
Come è noto, i presupposti per il riconoscimento della legittima difesa sono costituiti dall’aggressione ingiusta e dalla reazione legittima.
La prima consiste in un pericolo attuale di un’offesa, che può sfociare nella lesione di un diritto personale o patrimoniale. Quanto all’attualità del pericolo “è sufficiente che il pericolo sia in corso o comunque imminente e può essere integrato anche da una semplice minaccia” (ex multis, cass. 17/05/2019, Onnis, Rv 276129-01).
Il secondo requisito, rappresentato dalla reazione legittima, presuppone la necessità di difendersi da un pericolo non altrimenti evitabile.
Ne discende un rapporto di proporzionalità tra l’offesa e la difesa. La reazione, infatti, non può considerarsi legittima quando l’azione lesiva è esaurita né è legittimo l’uso di mezzi che non siano gli unici disponibili. La giurisprudenza, infatti, esclude la ricorrenza del rapporto di proporzionalità quando “la consistenza dell’interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell’interesse difeso e il male inflitto all’aggredito abbia un’intensità di gran lunga superiore rispetto al male minacciato” (così cass. sez. I, 25/10/2005, Bollardi, RV 233352-01).
A fortiori, tali requisiti devono sussistere allorché la legittima difesa rilevi in forma putativa, dal momento che la situazione di pericolo non è reale, ma supposta dall’agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. Essa può configurarsi se e in quanto fondata su fatti concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare, nell’animo dell’agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo. Tale convincimento, peraltro, deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui l’azione venga ad estrinsecarsi. (così cass. pen., sez. I, 06/12/2005, n. 4337).
In ordine al secondo tema, relativo alla ritenuta circostanza aggravante dell’uso di armi, occorre domandarsi se la bomboletta spray, contenente sostanza urticante, sia strumento di autodifesa e come tale rientrante nelle prescrizioni di cui al decreto ministeriale n° 103/2011 ovvero sia da considerare un’arma ex art. 2, comma 3, legge n° 110/1975.
A tal proposito, vale la pena richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale “integra il reato previsto dall’art. 4, legge 2 ottobre 1967, n. 895 il porto in luogo pubblico di una bomboletta spray contenente gas urticante idoneo a provocare irritazione agli occhi, sia pure reversibile in breve tempo, in quanto idonea ad arrecare offesa alla persona e come tale rientrante nella definizione di arma comune da sparo di cui all’art. 2, legge n. 110/1975”(così cass. pen., sez. I, 28/02/2012, n. 11753). Tale interpretazione si fonda sul dato letterale dell’art. 2 comma 3, legge 18 aprile 1975, n. 110 che considera armi, tra le altre, “quelle ad emissione di gas (…)”. Inoltre, si valorizza la portata nociva del contenuto della bomboletta, trattandosi di elementi chimici idonei a compromettere l’integrità della persona.
LA SOLUZIONE
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto corretta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e ha dichiarato infondati i motivi proposti, rigettando il ricorso.
La tesi difensiva, volta a dimostrare che l’agente abbia agito per difendersi da un pericolo attuale di un’offesa ingiusta, appare inverosimile e priva di qualsiasi riscontro oggettivo. Osserva la Corte – richiamando le precedenti pronunce di merito – che la condizione psicofisica dell’imputato (vittima in precedenza di ulteriori aggressioni, che lo hanno determinato nel senso di procurarsi lo spray urticante) non sia idonea a giustificare l’azione realizzata, dal momento che non sono emersi elementi da cui desumere il suo asserito timore. Al contrario, si è trattato di una reazione istintiva, dettata dalla volontà di interrompere un’azione ritenuta irrispettosa e non già per il percepito timore per la propria incolumità.
La Corte ha, inoltre, sottolineato l’insussistenza del rapporto di proporzionalità tra l’offesa e la difesa, dal momento che quando si è verificato il fatto, non vi erano elementi per ritenere che l’agente si trovasse in una situazione di pericolo, benché lo stesso venisse trattenuto per un braccio. L’imputato, infatti, avrebbe potuto liberarsi dalla presunta aggressione uscendo dalla stanza o chiedendo l’aiuto di altri colleghi. A fronte di un pericolo non attuale ed evitabile, l’imputato ha adottato una reazione non necessitata.
Per quanto concerne, invece, l’aggravante dell’uso di armi la Corte, valorizzando la natura del gas in esso contenuto, qualificato come “agente chimico aggressivo” per la potenzialità nociva, ha ritenuto corretta la qualificazione della bomboletta contenente sostanza urticante come arma comune da sparo.
In adesione al sopra richiamato indirizzo ermeneutico, lo spray contenente sostanza urticante è strumento ontologicamente e funzionalmente deputato ad arrecare offesa alla persona.
Tanto è evidente nel caso in esame, atteso che l’imputato lo ha nebulizzato in viso alla persona offesa, cagionandole lesioni e senza che vi fosse alcuna aggressione in atto.
Dunque, esclusa la ricorrenza dell’esimente di cui all’art. 52 c.p., l’impiego dello spray non è giustificato da esigenze difensive e, pertanto, l’aggravante dell’uso di arma appare correttamente contestata e applicata.
Per i motivi su esposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.