Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Le trattative “affidanti” per l’importazione di stupefacenti integrano tentativo punibile

Cass. pen., sez. IV, 17 giugno 2025, n. 22863

LA MASSIMA

“Integra il tentativo di importazione di sostanze stupefacenti la condotta che, collocandosi in una fase antecedente all’acquisto della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale, si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che, per la natura, la qualità ed il numero dei contatti intervenuti, i contraenti abbiano riposto concreto affidamento”.

IL CASO

I ricorrenti sono stati ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del delitto di tentata importazione di sostanze stupefacenti (artt. 56 e 110 c.p., art. 73, commi 1 e 6 D.P.R, 9 ottobre 1990 n. 309), per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a introdurre nel territorio nazionale sostanze droganti provenienti da Stato estero. In concreto, il reato si è arrestato sulla soglia del tentativo per causa indipendenti dalla volontà dei correi, in ragione del sequestro della sostanza acquistata, da parte delle autorità di polizia estere, che hanno così impedito la partenza del carico.

LA QUESTIONE

Tra i molteplici motivi di ricorso dei condannati, vi è quello attinente al vizio di motivazione della sentenza di merito in ordine alla ritenuta sussistenza di un tentativo punibile, sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo che sotto il profilo dell’elemento psicologico. Invero, ad avviso dei ricorrenti, le conversazioni oggetto di intercettazione non documenterebbero l’esito positivo delle trattative, le quali – anzi – si arresterebbero sulla soglia della mera ideazione del proposito criminoso, non punibile ex art. 115 c.p.. In particolare, la condotta non sarebbe stata idonea alla realizzazione del proposito criminoso, poiché i complici si sono avvalsi di un intermediario inaffidabile, che ha intascato il denaro promessogli, ma ha attribuito il fallimento dell’operazione a difficoltà sopravvenute, usando come copertura l’avvenuto sequestro dello stupefacente.

Quanto alla ritenuta sussistenza del dolo intenzionale, i difensori hanno evidenziato che alcuni dei coimputati hanno rivelato l’intenzione di abbandonare il progetto criminoso, intenzione che avrebbero concretizzato attraverso la mancata conclusione delle trattative.

 

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte, investita della questione, si è soffermata sulla struttura oggettiva e soggettiva del delitto tentato e sulla soglia di punibilità delle trattative nella più ampia condotta di importazione di sostanza stupefacente. Ritiene il Giudice delle leggi che le azioni poste in essere dagli imputati, non si siano arrestate alla mera fase di ideazione del progetto criminoso (non punibile ex art. 115 c.p.), poiché l’operazione è stata concordata nelle sue caratteristiche essenziali, sulla base di una trattativa sul cui esito positivo i ricorrenti avevano riposto concreto affidamento.

Anche gli atti preparatori, se idonei ed univoci alla commissione del delitto, sono punibili nelle forme del delitto tentato, essendo ormai superata la tesi del principio di esecuzione dell’azione, in ragione della formulazione testuale dell’art. 56 c.p. Per ciò che concerne la condotta di importazione di sostanze stupefacenti, in particolare, si susseguono una prima fase di mera ideazione del proposito criminoso, a cui seguono le trattative per l’acquisto e il successivo trasporto e -infine- l’ingresso nel territorio nazionale dello stupefacente. Ad avviso della Corte di Cassazione, si ha tentativo punibile già nella fase delle trattative, quando esse raggiungono caratteri di concretezza tali da ritenerle «trattative affidanti», anche quando esse non determinino il trasferimento di proprietà della sostanza, per cause indipendenti dalla volontà degli imputati.

Non è, tuttavia, sufficiente la mera conclusione dell’accordo tra acquirente e venditore finalizzato all’importazione, con cui si configurerebbe la sola condotta di detenzione, ma è necessaria l’assunzione, da parte dell’importatore, della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale. E tanto è avvenuto nel caso concreto, poiché i ricorrenti hanno concluso altresì accordi per il trasporto della sostanza nel territorio italiano, affidandolo a terzi.

Pertanto, la Suprema Corte ritiene integrato il profilo oggettivo del delitto tentato di importazione di sostanze stupefacenti, poiché le condotte e gli accordi conclusi, pur collocandosi in una fase antecedente all’acquisto della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale, si sono presentate come idonee ed univocamente dirette alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sulla quale, per la natura, la qualità e il numero dei contatti intervenuti, i contraenti hanno riposto concreto affidamento.

Quanto all’elemento soggettivo del delitto tentato, la mera intenzione di abbandonare il progetto, manifestata da alcuni dei ricorrenti quando le trattative erano già in fase avanzata, non esclude il dolo del tentativo, perché altro non attesta se non la pregressa intenzione di perseguire quel progetto, secondo i passaggi attuativi specificamente compiuti, integranti un tentativo già perfezionato. Peraltro, non essendo mai stata attuata tale volontà, non è configurabile neppure la causa di non punibilità della desistenza volontaria.

Nota a cura di Rosanna Mastroserio (funzionario giudiziario)