Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

La rilevanza della cessione di ramo d’azienda nella bancarotta per distrazione

Cass. pen., Sez. V, 10 luglio 2025, sentenza n. 25562

LA MASSIMA

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la cessione a qualunque titolo di un ramo d’azienda ben può integrare una condotta distrattiva se non adeguatamente remunerata, ma tanto, dovendo la distrazione essere riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili, presuppone l’effettivo trasferimento di un complesso aziendale in senso proprio inteso, secondo la definizione dell’art. 2555 c.c., di un complesso di beni organizzati per l’esercizio di una attività imprenditoriale: in assenza di tale trasferimento, ossia ove non vi sia stato un illecito travaso di beni giuridicamente ed economicamente valutabili (concretamente indicati), la mera prosecuzione dell’attività economica, sotto altra forma, da parte dell’imprenditore non assume rilevanza penale, rappresentando lecito esercizio dell’iniziativa economica riconosciuta in capo a ciascun soggetto”.

IL CASO

I giudici di primo e secondo grado di giudizio avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità della ricorrente per aver concorso, in qualità di extraneus, nella distrazione dell’azienda amministrata dal padre e dichiarata fallita.

Secondo la prospettazione accusatoria, la contestata attività distrattiva si sarebbe concretata nel subentro della società amministrata dall’imputata nell’attività d’impresa, conservando rapporti commerciali con i medesimi fornitori, esercitando l’attività d’impresa presso gli stessi locali, con gli stessi dipendenti e i medesimi segni distintivi, senza alcun vantaggio per la società cedente.

Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputata, si compone di cinque motivi d’impugnazione. Il primo, formulato sotto i profili della violazione di legge e vizio di motivazione, attiene alla ritenuta sussistenza di una condotta distrattiva: l’azienda della società fallita non sarebbe mai stata ceduta; i rapporti economici esistenti tra le due società dovrebbero essere letti alla luce di rapporti familiari esistenti tra i due amministratori e, comunque, avrebbero ridotto e non aggravato il dissesto. Inoltre, si sosteneva che l’avviamento fosse un’entità autonomamente distraibile e che il marchio registrato dalla nuova società fosse difforme.

Gli ulteriori motivi riguardavano la richiesta di riqualificazione del fatto in ricettazione prefallimentare, il vizio di motivazione sulla sussistenza di un danno di grave entità, l’esclusione del beneficio della non menzione della condanna e la determinazione delle pene accessorie.

LA QUESTIONE

La questione centrale affrontata dalla Corte di Cassazione riguarda la definizione dei requisiti per configurare la distrazione di un ramo d’azienda nell’ambito del reato fallimentare. In particolare, si pone il problema di stabilire se la mera prosecuzione di un’attività economica, con l’utilizzo di beni e risorse simili, possa integrare di per sé una condotta distrattiva in assenza di un effettivo trasferimento di un complesso aziendale giuridicamente ed economicamente valutabile. La giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente richiesto, per la configurabilità del reato di bancarotta per distrazione, che l’attività distrattiva sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili e che vi sia un illecito travaso di beni concretamente indicati.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello, accogliendo il primo motivo di ricorso e ritenendo assorbiti gli altri.

La Suprema Corte ha ribadito che, sebbene la cessione di un ramo d’azienda possa integrare una condotta distrattiva se non adeguatamente remunerata, ciò presuppone l’effettivo trasferimento di un complesso aziendale in senso proprio, ovvero un insieme di beni organizzati per l’esercizio di un’attività imprenditoriale, secondo la definizione dell’art. 2555 c.c. In assenza di un illecito travaso di beni giuridicamente ed economicamente valutabili, la mera prosecuzione dell’attività economica sotto altra forma non assume rilevanza penale, rientrando nel lecito esercizio dell’iniziativa economica.

Nel caso specifico, la Corte territoriale, pur ipotizzando la distrazione dell’azienda, non aveva concretizzato l’effettivo oggetto della distrazione. Non era stata data prova dell’effettiva esistenza e consistenza del magazzino asseritamente distratto (desunta solo da scritture contabili ritenute inattendibili), né si era chiarita la sorte dei locali (di proprietà altrui e in locazione, senza riscontro del pagamento del canone da parte della fallita). Per quanto riguarda i dipendenti, la Corte ha sottolineato che essi non sono una “res economicamente valutabile” e non era stata dimostrata la sorte dei relativi rapporti contrattuali o chi avesse sostenuto i costi. Infine, l’utilizzo dei medesimi segni distintivi e dell’avviamento commerciale è stato ritenuto inidoneo a configurare distrazione, risolvendosi in un mero eventuale sviamento della clientela e in una cessione di mere aspettative di futuri incrementi patrimoniali, entrambi insuscettibili di essere oggetto di distrazione secondo la giurisprudenza consolidata.

Dunque, la Suprema Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione della sentenza d’appello in merito alla concreta identificazione e quantificazione dei beni oggetto di distrazione, ritenendo che la mera riproduzione dell’attività non sia di per sé prova del reato senza l’accertamento del trasferimento illecito di beni patrimonialmente rilevanti.

Nota a cura di Giulia Fanelli (Avvocato)