Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

La nozione di “incaricato di pubblico servizio” nel delitto di peculato

Cass. Pen., Sez. VI, 29 maggio 2025, sentenza n. 20127

LA MASSIMA

“È da escludersi possa ritenersi incaricato di pubblico servizio chi, pur svolgendo la propria attività all’interno, o in modo indissolubilmente connesso ad un pubblico servizio, si veda attribuiti compiti meramente esecutivi: compiti, cioè, da cui esuli qualunque profilo intellettuale, di autonomia e di discrezionalità, tipico invece delle mansioni di concetto”.

IL CASO

La vicenda in esame trae origine dal ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello ha confermato la pronuncia del Tribunale che aveva condannato l’imputato per il reato di peculato ex art. 314 c.p., per essersi appropriato, in qualità di impiegato presso l’ufficio Cup dell’ospedale, di somme di denaro di spettanza dell’Azienda Sanitaria Regionale.

Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato deducendo:

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della qualifica soggettiva di “incaricato di pubblico servizio”, per avere i giudici di merito erroneamente dedotto dal rapporto di pubblico impiego dell’imputato con l’azienda sanitaria la qualifica soggettiva pubblicistica e per aver escluso che l’operatore di sportello addetto alle prenotazioni possa svolgere mansioni meramente materiali;

– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla riqualificazione giuridica del fatto, dovendo i fatti di reato tuttalpiù sussumersi nella meno grave veste criminosa di cui all’art. 640 c.p.;

– violazione di legge e vizio di motivazione per aver ritenuto provata la distrazione e l’impossessamento sulla base della irregolare tenuta della documentazione contabile la quale, a giudizio della difesa, può rappresentare sintomo della condotta di appropriazione, ma non sostituirne la prova.

LA QUESTIONE

Nel solco della prospettiva innanzi illustrata, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui motivi proposti in ricorso, tra i quali quello relativo alla corretta qualificazione giuridica del fatto.

Merita osservare che secondo la Suprema Corte appare non condivisibile la motivazione seguita dai giudici d’appello che, ai fini della configurabilità del delitto di peculato, hanno riconosciuto in capo all’imputato la qualifica soggettiva di “incaricato di pubblico servizio”.

Sul punto è stata richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla natura pubblica del servizio sanitario nazionale e, quanto alla clausola di esclusione dell’art. 358 comma secondo c.p., ultima parte, è stato evidenziato il carattere non meramente materiale delle mansioni connesse all’attività dell’operatore di sportello addetto alle prenotazioni di prestazioni sanitarie.

LA SOLUZIONE

In primo luogo, fermo restando il carattere pubblicistico della prenotazione delle prestazioni sanitarie presso una struttura pubblica, è opportuno ricordare che il legislatore con la riforma n. 86 del 1990 ha inteso restringere l’area concettuale del pubblico servizio, escludendo le semplici mansioni di ordine e la prestazione di opera meramente materiale, ai sensi dell’art. 358 comma secondo c.p.

In attuazione di tale precetto, la giurisprudenza più recente ha ridimensionato il rilievo che era in passato attribuito alla circostanza che l’agente maneggiasse denaro pubblico, circostanza che non trova un esplicito riferimento al livello legislativo e che, al più, può considerarsi un mero sintomo della natura pubblica dell’attività, da argomentare in concreto e su basi diverse e comunque insuscettibile di oscurare la citata clausola di esclusione.

Dalla valorizzazione del riferito inciso legislativo, la Suprema Corte ha escluso possa ritenersi incaricato di pubblico servizio chi, pur svolgendo la propria attività all’interno, o in modo indissolubilmente connesso ad un pubblico servizio, si veda attribuiti compiti soltanto esecutivi: compiti, cioè, da cui esuli qualunque profilo intellettuale, di autonomia e di discrezionalità, tipico invece delle mansioni di concetto.

Muovendo da tali premesse, giova rammentare che, ai fini del riconoscimento della qualifica pubblicistica, priva di rilevanza è la circostanza che l’agente sia tenuto ad un obbligo di documentazione: circostanza, invece, che è stata valorizzata in modo esclusivo nella sentenza impugnata.

Escluso che l’obbligo di documentazione sia suscettibile di manifestarsi all’esterno – nel qual caso assumerebbe una valenza certificativa indicativa del “potere” e della “funzione” ex art. 357 c.p. piuttosto che del mero “servizio” ex art. 358 c.p. – la semplice redazione/presentazione di ricevute resta attività funzionale alla verifica interna inerente alla regolare esecuzione del rapporto di lavoro.

Configura, quindi, un’attività di rendicontazione affatto neutra in quanto, per un verso, esecutiva e come tale inidonea ed insufficiente a connotare l’attività in senso intellettuale; per altro verso, caratteristica delle relazioni di diritto privato.

A fronte del quadro ermeneutico illustrato, ed esclusa la validità dell’unico indice valorizzato dai giudici della sentenza impugnata, a parere della Corte non è emerso nel caso di specie se l’addetto allo sportello deputato alle prenotazioni, svolgesse in concreto – e cioè sulla base dell’effettiva organizzazione d’ufficio in cui lavora – mansioni ulteriori, e se tali attività fossero caratterizzate da quei profili di autonomia e discrezionalità che, soli, appaiono suscettibili di connotare l’attività come non meramente esecutiva così da incardinare, in ultima analisi, la qualifica pubblicistica in capo all’imputato.

In definitiva, l’assenza di tali requisiti conduce ragionevolmente a concludere che la condotta appropriativa andrebbe più propriamente sussunta nel reato comune di cui all’art. 640 c.p. e non, invece, nel reato di cui all’art. 314 c.p.

Alla luce di tale quadro normativo ed interpretativo la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata ed ha rinviato per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello che, nel valutare la sussistenza o meno della qualifica soggettiva in capo all’imputato, si dovrà attenere ai criteri poc’anzi enunciati.

Nota a cura di Junia Valeria Massa