Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

La consumazione del delitto di sostituzione di persona

Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2025, sentenza n. 21009

LA MASSIMA

Ai fini della consumazione del delitto di cui all’art. 494 cod. pen., non occorre che il vantaggio perseguito dall’agente sia effettivamente raggiunto poiché lo scopo di arrecare a sé o ad altri un vantaggio attiene all’elemento psicologico di tale delitto, costituito dal dolo specifico”.

IL CASO

Con la sentenza impugnata innanzi alla Suprema Corte di Cassazione la ricorrente è stata condannata dalla Corte Appello per il delitto di cui all’articolo 494 c.p., per aver indotto in errore il Registro delle imprese del luogo di competenza attraverso la sostituzione della propria identità con quella del titolare della partita IVA, al fine di ottenere un vantaggio ingiusto.

Con il primo motivo di ricorso l’imputata ha contestato la violazione ai sensi dell’articolo 606 comma 1 lett. e) e lett. d) c.p.p. per illogicità della motivazione circa la riconducibilità della condotta al delitto di sostituzione di persona.

Con il secondo motivo è stata invece denunciata la mancata applicazione della condizione di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., stante la modestia del profitto economico conseguito attraverso l’uso strumentale della partita IVA.

LA QUESTIONE

La sentenza in commento pone l’attenzione sulla consumazione del reato di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p. e sull’applicabilità della condizione di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

Con riferimento al primo profilo, la pronuncia ha motivato il rigetto della prima questione, evidenziando come la prova richiesta dall’imputata non fosse decisiva a modificare le argomentazioni del giudice di prime cure. La Corte ha posto l’attenzione sul reato di cui all’art. 494 c.p. e, in aderenza ad un ormai sedimentato orientamento, ha sostenuto che il delitto fosse configurabile a prescindere dall’effettivo raggiungimento del vantaggio perseguito dall’agente, essendo necessaria, per il perfezionamento del reato de quo, unicamente la sussistenza del fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio, anche non patrimoniale, o di recare ad altri un danno (Cass. Sez. V, 15 dicembre 2014, sentenza n. 11087).

Quanto alla condizione di non punibilità, la Suprema Corte di Cassazione ne ha definito il perimetro, considerando rilevante l’esame delle concrete modalità di estrinsecazione del comportamento nel suo complessivo disvalore, indipendentemente dalla conformità della condotta rispetto al tipo legale (Cass. Sez.Un., 25 febbraio 2016, sentenza n. 13681).

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte di Cassazione, come preannunciato, ha rigettato entrambe le questioni prospettate. Il supremo Consesso ha, innanzitutto soffermato la propria attenzione sulla addotta carenza di motivazione della sentenza impugnata, confermando l’argomentazione logica sostenuta dal Giudice di Appello nella ricostruzione della vicenda. In particolare, è stata ritenuta non decisiva -per la definizione del giudizio- la mancata acquisizione del volantino richiesta dalla ricorrente, la quale non ha specificato le ragioni dell’efficacia potenzialmente destrutturante che l’ostensione di tale documento avrebbe potuto avere sul compendio probatorio.

Pertanto, la motivazione è stata considerata congrua rispetto alla decisione assunta dalla Corte di Appello, tenendo conto della natura di pura condotta del reato che non richiede la dimostrazione scientifica del collegamento eziologico tra il comportamento dell’agente e l’evento naturalistico.

L’art. 494 c.p. richiede, per l’integrazione del reato di sostituzione di persona, il fatto di indurre taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona con la finalità di procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto o arrecare ad altri un danno. Non è, invece, necessario l’effettivo conseguimento dell’obiettivo che l’agente si propone di realizzare.

Dunque, nella vicenda sottoposta al vaglio del Supremo Consesso, il mero utilizzo da parte dell’imputata della partita IVA intestata a terzi, con l’intento di procurarsi la fornitura di materie prime a costo più abbordabile, è risultata sufficiente per il perfezionamento del reato.

In conclusione, il dolo specifico risulta pienamente integrato dalla finalità del vantaggio ingiusto che accompagna l’induzione in errore e il giudizio sulla sua realizzazione attiene strettamente alla sfera dell’elemento psicologico.

Con riferimento alla causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il Collegio, in aderenza all’insegnamento delle Sezioni Unite Tushaj (Cass. Sez. Un., 25 febbraio 2016, sentenza n. 13681), ha rimarcato la necessità di operare una distinzione tra fatto tipico e fatto storico, ove solo quest’ultimo assume rilevanza ai fini del giudizio previsto dall’articolo 131- bis c.p.

Ne consegue, che l’esame per l’applicazione della causa di non punibilità non involge la sussumibilità del fatto alla fattispecie delittuosa, quanto, piuttosto, le modalità di estrinsecazione del comportamento nel suo disvalore complessivo, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo.

In aderenza alle coordinate ermeneutiche suindicate, la Corte di Cassazione ha escluso la tenuità del fatto oggetto del giudizio, valorizzando i connotati fraudolenti della condotta tenuta dall’imputata, di particolare insidiosità per il principio di affidamento incolpevole nei rapporti commerciali tra le imprese.

Nota a cura di Enesia Ciampa