La Consulta salva l’art. 639 c.p.: rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta della sanzione penale a tutela del decoro urbano

Corte Costituzionale, 10 luglio 2025, n.105
IL DISPOSITIVO
“Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale,in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe”;
“Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 639, quinto comma, cod. pen, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe”.
IL CASO
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Giudice monocratico del Tribunale di Firenze, che ha rimesso alla Corte la valutazione circa la compatibilità dell’articolo 639, commi primo, secondo e quinto, del Codice penale con gli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione.
Il giudice a quo era chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di un imputato accusato di aver, in concorso con altri soggetti non identificati, imbrattato mediante escrementi la porta d’ingresso dell’abitazione privata della persona offesa, nonché le adiacenti pareti e pavimentazione condominiali, lasciando altresì un sacchetto contenente materiale organico (in particolare, escrementi).
L’imputato era stato citato in giudizio per il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, aggravato ai sensi dell’art. 639 co. 2 c.p. e 61 co. 1 c.p.
Nel corso dell’udienza predibattimentale sia il pubblico ministero che l’imputato avevano domandato l’emissione di una sentenza di non luogo a provvedere; il primo poiché riteneva che l’imputato non avesse commesso il fatto mentre il secondo perché giudicava irragionevole una previsione di condanna in base agli elementi acquisiti al processo.
Il Tribunale riteneva che la fattispecie contestata – configurante il reato di deturpamento o imbrattamento di cose altrui, aggravato ai sensi del secondo comma dell’art. 639 c.p. e procedibile d’ufficio in base al quinto comma – ponesse rilevanti dubbi di legittimità costituzionale, nella misura in cui eleva a reato, sanzionato con pena detentiva, una condotta potenzialmente superficiale e temporanea, generando un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina del danneggiamento di cui all’art. 635 c.p.
LA QUESTIONE
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del Codice penale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
Il giudice a quo osservava che il reato di deturpamento e imbrattamento di cui all’art. 639 c.p. costituisce fattispecie sussidiaria e meno grave rispetto alla figura delittuosa del danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., come può desumersi sia dalle condotte tipizzate sia dalla clausola di riserva contenuta dell’incipit dell’art. 639 “fuori dei casi preveduti dall’art. 635”, sia ancora dall’entità delle pene previste.
Il giudice rimettente, in particolare, evidenziava che, mentre le condotte di cui all’art. 635 c.p. co. 1 previgente, integranti delitto di danneggiamento semplice, sono state espunte dalla sfera del penalmente rilevante e trasformate in illeciti civili (a mezzo dell’art. 4 comma 1, lett. c) del D. Lgs. 7 del 2016) quelle di cui all’art. 639 c.p. non sono state depenalizzate.
Dunque, il Tribunale fiorentino denunciava l’irrazionalità di una disciplina normativa che prevede l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di natura civile laddove le condotte dell’agente si concreti in una modificazione della cosa altrui tale da alterarne in modo apprezzabile il valore ovvero da comprometterne anche solo parzialmente l’uso (come nel caso di danneggiamento semplice ex art. 635 co. 1 c.p. previgente, ora depenalizzato) e l’applicazione di una sanzione penale, che diviene pena detentiva, nei casi di beni immobili o di mezzi di trasporto, allorquando la condotta realizzi un’alterazione meramente temporanea o superficiale del bene altrui, agevolmente reversibile (art. 639 c.p.).
Il giudice a quo, dunque, domandava alla Consulta – ritenendo il rimedio appropriato alla denunciata violazione dei principi costituzionali – una pronuncia che sostituisse le pene previste dall’art. 639 c.p. con la sanzione pecuniaria civile, quantomeno nelle ipotesi meno gravi (per esempio, in assenza di violenza o minaccia ovvero qualora il deturpamento non abbia ad oggetto beni di particolare rilevanza).
In via subordinata e sempre con riferimento all’art. 3 Cost., si contestava altresì la legittimità costituzionale dell’art. 639, co. 5 c.p., nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio per le ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 639 cit., anche quando i fatti abbiano ad oggetto beni diversi da quelli di cui all’art. 635 co. 2 c.p. e non siano commessi in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, in quanto in contrasto con la tendenza generale del sistema penalistico a subordinare la perseguibilità delle lesioni a beni giuridici individuali alla previa presentazione di querela, quando non sussistano esigenze particolari di tutela pubblica.
A parere del Tribunale, considerata la natura sussidiaria e di minore gravità del reato di deturpamento o imbrattamento ex art. 639 c.p. rispetto a quello di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., sarebbe manifestamente irragionevole la previsione della procedibilità di ufficio per il primo, qualora aggravato ai sensi del secondo comma, mentre per i casi – più gravi -di danneggiamento la procedibilità è subordinata alla querela della persona offesa.
Conclusivamente il giudice rimettente domandava alla Corte adita in via principale un intervento che, quale esito di una scelta costituzionalmente adeguata, rinvenga nella disciplina dell’illecito punitivo civile, introdotto dal legislatore per la condotta di danneggiamento semplice, la grandezza sulla cui base ridefinire il trattamento sanzionatorio del deturpamento e imbrattamento di cose altrui, non qualificato da indici ulteriori; in linea gradata, un intervento di tipo analogo, volto a subordinare alla querela la procedibilità delle condotte di cui all’art. 639 c. 2 c.p.
LA SOLUZIONE
La Corte costituzionale ha dichiarato le questioni di legittimità costituzionale inammissibili, non ravvisando alcun contrasto tra le norme censurate e i principi costituzionali richiamati dal giudice a quo.
La Consulta, nell’illustrare l’evoluzione normativa che ha interessato l’art. 639 c.p., ha svolto considerazioni di ordine sistematico, evidenziando che la persistente rilevanza penale del reato di deturpamento o imbrattamento di cose altrui, anche in presenza di un processo di depenalizzazione che ha interessato altre fattispecie – come il danneggiamento semplice – costituisce espressione della discrezionalità del legislatore nella definizione delle ipotesi astratte di reato e nella determinazione delle relative pene, la cui sindacabilità da parte del giudice delle leggi è circoscritta ai soli casi in cui emergano profili di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.
La Corte ha sottolineato che la scelta normativa censurata dal giudice a quo è giustificata dall’esigenza di tutelare il bene del decoro urbano e contrastare fenomeni di illegalità diffusa, il cui impatto, pur non determinando un danno irreversibile ai beni, è comunque idoneo a pregiudicare la qualità della vita nei contesti urbani e la fruizione degli spazi pubblici.
Pur ammettendo che il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui realizza, rispetto a quello di danneggiamento, un’offesa al medesimo bene attraverso una condotta che si differenzia solo per gli effetti che si fanno, via via, più incidenti sulla consistenza del bene attinto, ha ravvisato una coerenza di fondo della scelta legislativa.
Richiamando, tra le altre, la nuova figura di reato di deturpamento introdotta dal D.L. 48 del 2025, espressiva della volontà del legislatore di irrigidire il trattamento punitivo di condotte in cui plurimi sono i beni attinti, la Consulta ha evidenziato che tali disposizioni consentono di apprezzare una dimensione collettiva del fenomeno penalmente rilevante.
Sicché la condotta di imbrattamento o deturpamento non si configura più come una meno grave declinazione del delitto di danneggiamento – in forza della natura comune del bene protetto e del principio di sussidiarietà tra le due fattispecie – ma si pone come lesiva di un nuovo interesse, caratterizzato da una peculiare concezione dell’estetica avente autonoma e distinta rilevanza penale.
E’ stato escluso, pertanto, di poter intervenire nel senso auspicato dal giudice rimettente poiché, pur ritenendo opinabile la scelta legislativa concernente la perdurante rilevanza penale della fattispecie di deturpamento o imbrattamento, a fronte del differente trattamento riconosciuto a talune ipotesi di danneggiamento, ha evidenziato come un suo intervento in tal senso comporterebbe la necessità di un complessivo riassetto della disciplina sanzionatoria in materia, come tale, ad essa precluso.
Nota a cura di Ilaria Iacobone