La Confisca di prevenzione non è sanzione penale: il divieto di Bis in Idem non si applica

Cass. pen., Sez. V, 13 febbraio 2025, sentenza n. 6090
LA MASSIMA
“E’ inapplicabile il principio del divieto di “bis in idem” tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poiché il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale”
IL CASO
I ricorrenti hanno depositato ricorso in Cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello territorialmente competente, che aveva confermato il provvedimento col quale il Tribunale aveva disposto la confisca dei beni. Con il primo motivo, si deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 4 L. n. 1423 del 1956, 2-bis e 2-ter L. n. 575 del 1965, 20 e 24 d.lgs. n. 159/2011, 47 Carta dei diritti fondamentale dell’UE, 6 Cedu, 24 e 111 Cost., in quanto, secondo il ricorrente, il procedimento sarebbe stato inficiato dalla violazione del diritto di difesa e dell’equo processo. Con il secondo motivo, inoltre, vengono dedotti i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 4 L. n. 1423 del 1956, 2-bis e 2-ter L. n. 575 del 1965, 20 e 24 d.lgs. n. 159/2011, 28 e 649 c.p.p., 50 Carta dei diritti fondamentale dell’UE, 4 Cedu, 24, 27 e 111 Cost., per violazione del divieto di bis in idem in materia penale.
LA QUESTIONE
Nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione è chiamata a valutare l’applicabilità del divieto di bis in idem in materia penale alla confisca di prevenzione.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, per il carattere generico delle censure formulate, e infondato il secondo. Sotto il primo profilo, infatti, i giudici di legittimità evidenziano che nel ricorso non si fa riferimento a nessuna specifica norma violata, né per quanto concerne i tempi lasciati al preposto per preparare le sue difese, né con riguardo agli elementi posti alla base del provvedimento con cui è stata disposta la confisca – che secondo il ricorrente sarebbero stati raccolti “unilateralmente” dall’autorità giudiziaria procedente, senza consentire né al preposto né ai terzi interessati di “integrare il contraddittorio”, per cui, come si legge nella sentenza, i ricorrenti “finiscono per muovere delle generiche censure alla normativa processuale in materia, più che all’operato della Corte di appello”.
Per quanto riguarda, poi, il secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte sottolinea l’erroneità del richiamo, ad opera dei ricorrenti, al principio del ne bis in idem con riferimento all’applicazione della confisca di prevenzione. Come sostiene la Corte, le misure di prevenzione e le sanzioni penali si basano su presupposti diversi: le prime su una condizione personale di pericolosità, le seconde, invece, su “un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale”. Le misure di prevenzione, inoltre, non hanno natura neanche solo sostanzialmente penale, per cui relativamente a queste non può ritenersi estendibile neanche la giurisprudenza della Corte EDU (CEDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia), sulla base della quale, ai fini dell’applicabilità del principio del ne bis in idem, è necessario valutare se la misura irrogata abbia carattere di sanzione (anche se non formalmente, ma anche solo) sostanzialmente penale. Le misure di prevenzione, infatti, non condividono la stessa funzione delle pene, non essendo dirette come quest’ultime a sanzionare la realizzazione di reati (fine repressivo), quanto piuttosto a precluderne la commissione (finalità di prevenzione). Per questi motivi, le misure di prevenzione non soggiacciono alle garanzie previste dall’art. 6 CEDU per le sanzioni penali, compreso il principio del ne bis in idem, secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto.
I giudici di legittimità, pertanto, hanno disposto il rigetto del ricorso e hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.