Corte Costituzionale, Diritto Penale, Sentenze

Incostituzionalità dell’art. 583-quinquies c.p. per mancata previsione dell’attenuante per i fatti di lieve entità

Corte Cost., 20 giugno 2025, sentenza n. 83

 

IL DISPOSITIVO

La Corte Costituzionale 1)dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, primo comma, del codice penale, inserito dall’art. 12, comma 1, della Legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità; 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione».

IL CASO 

Sono stati promossi tre giudizi di legittimità costituzionale in ordine al reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p., come inserito dall’art. 12, comma 1, della Legge n. 69 del 2019) per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.

La citata novella legislativa ha trasformato lo sfregio permanente e la deformazione del viso, fino a quel momento circostanze aggravanti del reato di lesione personale, in fattispecie autonoma di reato.

I giudici a quibus hanno censurato il trattamento sanzionatorio del reato di nuovo conio, in primis, per la previsione del minimo edittale pari a otto anni, ritenuto irragionevole e sproporzionato: i rimettenti hanno infatti osservato come  tale minimo edittale fosse di sedici volte superiore a quello del reato base di cui all’art. 582, comma 1, c.p., un terzo superiore a quello delle lesioni gravissime e superiore del doppio rispetto al minimo previsto per il delitto di mutilazione degli organi genitali femminili. La previsione in titolo autonomo di reato, poi, avrebbe ulteriormente esasperato la sproporzione del trattamento sanzionatorio essendo preclusiva di operazioni di bilanciamento.

È stata inoltre censurata l’equiparazione sanzionatoria operata dall’art. 583-quinquies c.p. tra sfregio e deformazione, nonché la previsione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno in misura fissa e automatica e ritenuta inconferente nel caso di condotte perpetrate al di fuori dell’ambito domestico.

Intervenuto nei tre giudizi incidentali, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito, ex multis, la non irragionevolezza dell’inasprimento sanzionatorio operato dalla norma censurata, giustificato dalla specifica gravità delle condotte, lesive non solo dell’integrità fisica ma anche dell’immagine e dell’identità sociale della persona offesa. È stata poi dedotta la manifesta infondatezza delle censure dei giudici rimettenti in ragione della disomogeneità dei tertia comparationis.

La Presidenza del Consiglio ha poi affermato che l’inasprimento sanzionatorio, nonché l’assimilazione sanzionatoria delle condotte di sfregio e deformazione, sarebbe giustificata dall’imputabilità degli eventi solo a titolo di dolo, elemento costitutivo della nuova fattispecie incriminatrice.

 

LA QUESTIONE

I rimettenti hanno posto il tema dell’eccessiva severità, quanto meno con riferimento al minimo edittale, e della rigidità del nuovo trattamento sanzionatorio dell’art. 583-quinquies c.p. rispetto alla varietà delle condotte e degli eventi che rientrano nell’ambito di applicazione della citata disposizione.

LA SOLUZIONE

La Corte Costituzionale ha preliminarmente affermato la ragionevolezza dell’inasprimento sanzionatorio operato dal legislatore con la trasformazione dello sfregio e della deformazione in fattispecie delittuosa autonoma in forza del peculiare bene giuridico ivi tutelato unitamente all’integrità fisica, ossia il valore relazionale ed identitario del volto di ciascuno; è stata valutata altrettanto ragionevole la scelta legislativa di unificazione sanzionatoria tra i due eventi dello sfregio e della deformazione i quali, nonostante la diversa portata di gravità, sono in eguale maniera posti a tutela dell’immagine sociale dell’individuo e della percezione della propria identità espressa tramite i lineamenti del volto.

Tuttavia, la Corte ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale in ordine alla rigidità del trattamento sanzionatorio realizzato con l’art. 583-quinquies c.p.

Rilevata, infatti, l’eccezionale asprezza del minimo edittale previsto dall’art. 583-quinquies c.p., la Corte ne ha salvaguardato l’esistenza per le ragioni di cui sopra, censurando tuttavia l’assenza di una c.d. valvola di sicurezza che consenta al giudice di moderare la pena ee adeguarla alla concreta gravità del fatto.

La Corte, dunque – richiamando l’orientamento primariamente affermato con la sentenza n. 68 del 2012 e più volte ribadito nelle ultime pronunce (Corte Cost., 2 dicembre 2022, sentenza n. 244; Corte Cost., 15 giugno 2023, sentenza n. 120; Corte Cost., 13 maggio 2024, sentenza n. 86;  Corte Cost., 20 maggio 2024, sentenza n. 91) – ha affermato che il primo comma dell’art. 583-quinquies c.p. viola i principi costituzionali di proporzionalità, personalizzazione e finalità rieducativa della pena perché, a fronte di un minimo edittale di eccezionale asprezza, non prevede un temperamento, costituzionalmente imposto, per i fatti di lieve entità, da individuarsi, in assenza di altri parametri, nell’attenuante ad effetto comune, con riduzione fino ad un terzo della pena.

Secondo la stessa logica, infine, la Corte costituzionale, in merito alla censurata pena accessoria, ha salvaguardato la medesima sotto il profilo della pertinenza all’oggettività giuridica della fattispecie delittuosa, censurandola tuttavia sul piano dell’automaticità, fissità e perpetuità.

Nota a cura di Valentina Sorbini (Funzionario Addetto all’Ufficio per il Processo)