Cassazione, Diritto Processuale Penale, Sentenze

Incapacità di intendere e volere: illegittimo l’arresto solo se lo stato è evidente

Cass. pen., Sez. VI, 29 gennaio 2025, sentenza n. 3760

LA MASSIMA
L’arresto in flagranza di un soggetto che versi in stato di incapacità di intendere e di volere è illegittimo, perché operato in violazione del divieto posto dall’art. 385 c.p.p., quando tale stato si manifesti chiaramente all’agente operante al momento dell’intervento e cioè sia immediatamente rilevabile da parte degli operanti sulla base di una ragionevole valutazione delle circostanze concrete; in carenza di tale condizione manifesta, non è consentito al giudice della convalida inserire nello schema valutativo del controllo dell’attività di polizia giudiziaria, conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell’arresto e del fermo; l’infermità mentale non costituisce uno stato permanente, ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato e, conseguentemente, non può essere ritenuta sulla sola base del precedente riconoscimento del vizio di mente in altro procedimento, sia pure relativo a fatti commessi nel medesimo periodo temporale di quello che forma oggetto del giudizio.

IL CASO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, con l’ordinanza impugnata innanzi alla Corte di legittimità, ha convalidato l’arresto in flagranza di un imputato e ha disposto la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere per i reati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni aggravate.
Con un unico motivo di ricorso, il difensore dell’imputato ha dedotto l’inosservanza degli artt. 85 cod. pen. e 391 cod. proc. pen., in quanto il Giudice per le indagini preliminari avrebbe convalidato l’arresto senza valutare il difetto di imputabilità derivante dalle gravi patologie psichiatriche da cui era affetto l’imputato, palesemente incapace di intendere e volere.
A sostegno della tesi difensiva, è stato evidenziato che in un diverso procedimento penale, all’esito dell’incidente probatorio, il giudice per le indagini preliminari ha disposto nei confronti dello stesso soggetto la misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di cura; inoltre, sia i Carabinieri che il Commissariato di Polizia di Torre del Greco sarebbero stati a conoscenza dello stato di grave intossicazione da alcool e di grave compromissione psichiatrica che affligge il ricorrente.
Attesa, dunque, la notorietà dell’incapacità di intendere e volere, l’arresto nel caso di specie non doveva essere convalidato.

LA QUESTIONE
Ritenuto il ricorso inammissibile, la Corte di legittimità ha chiarito i limiti di applicazione dell’art. 385 c.p.p., evidenziando che l’agente di polizia giudiziaria deve acclarare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto di reato contestato, precisando peraltro che non è consentito al giudice della convalida inserire nello schema valutativo del controllo dell’attività di polizia giudiziaria, conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell’arresto e del fermo.

LA SOLUZIONE
La Corte di legittimità, in primo luogo, ha ricordato il tenore letterale dell’art. 385 cod. proc. pen., a lume del quale “l’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare
che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità”.
Ha, poi, ricordato che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’arresto in flagranza di un soggetto che versi in stato di incapacità di intendere e di volere è illegittimo, perché operato in violazione del divieto posto dall’art. 385, quando tale stato si manifesti chiaramente all’agente operante al momento dell’intervento e cioè sia immediatamente rilevabile da parte degli operanti sulla base di una ragionevole valutazione delle circostanze concrete.
Al contrario, e, dunque, in carenza di tale condizione manifesta, ove la non imputabilità si palesi solo in sede di convalida dell’arresto, non è consentito al giudice della convalida inserire nello schema valutativo del controllo dell’attività di polizia giudiziaria conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell’arresto e del fermo.
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto che, dall’esame diretto degli atti processuali, è emerso che il verbale di arresto non evidenziava problematiche manifestamente riconducibili a patologia di natura psichiatrica, ma solo una violenta reattività del ricorrente, anche probabilmente cagionata dall’uso di sostanze stupefacenti.
Dunque, il dubbio circa possibili cause di incapacità emergeva soltanto in sede di udienza di convalida.
Sicché il Giudice per le indagini preliminari, in sede di convalida dell’arresto, ha correttamente escluso l’applicazione del divieto di arresto sancito dall’art. 385 cod. proc. pen. sulla base degli elementi conosciuti dagli operanti al momento dell’arresto, facendo corretta applicazione dei principi di diritto costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Di contro, la Corte ha chiarito che nessun rilievo possono assumere pregresse perizie psichiatriche svolte sulla medesima persona del ricorrente.
Invero, ai fini dell’applicazione degli artt. 88 e 89 cod. pen., l’infermità mentale non costituisce uno stato permanente, ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato e, conseguentemente, non può essere ritenuta sulla sola base del precedente riconoscimento del vizio di mente in altro procedimento, sia pure relativo a fatti commessi nel medesimo periodo temporale di quello che forma oggetto del giudizio.
Richiamando l’arresto delle Sezioni Unite nella nota sentenza “Raso” (n. 9163 del 25/1/2005) ha ricordato che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, è necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo.
L’accertamento peritale relativo allo stato di mente dell’imputato compiuto in un determinato procedimento, dunque, non ha di per sé rilevanza cogente in altro procedimento a carico del medesimo imputato, sia pure per fatti commessi nel medesimo periodo temporale.