Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Illecita detenzione di stupefacenti: concorso di persone nel reato o favoreggiamento personale?

Cass. Pen., Sez. IV, 1° luglio 2025, sentenza n. 24972.

 

LA MASSIMA

“Il reato di favoreggiamento non è comunque configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale”. 

IL CASO

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale nei confronti degli imputati, condannati alla pena di quattro mesi di reclusione ed € 688,00 di multa ciascuno, per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Sulla base delle circostanze risultanti dal verbale di arresto e dagli altri atti di indagine sono stati rinvenuti 99 involucri in carta stagnola contenenti marijuana per 73 grammi lordi, nonché 14 involucri contenenti hashish per 6 grammi lordi e 14 involucri contenenti cocaina per 13 grammi lordi, oltre alla somma di € 600,00 in contanti e a tre lame intrise di stupefacente, unitamente a un quaderno recante nomi e cifre.

Il giudice di appello ha rigettato il motivo di gravame tendente a ottenere la derubricazione del fatto sotto la specie di quello di favoreggiamento personale, ritenendo che l’atteggiamento tenuto dall’imputata (che, nell’immediatezza dell’ingresso degli operanti, ha tentato di nascondere lo stupefacente) fosse un chiaro indice della sua compartecipazione alla condotta di detenzione. In riferimento all’altro imputato, invece, è stato rigettato il motivo tendente a ottenere un giudizio di prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche rispetto alla riconosciuta recidiva, ritenendo non sindacabile il giudizio di equivalenza formulato dal GUP; ritenendo, al contrario, non concedibili le attenuanti generiche nei confronti dell’imputata, attesa l’assenza di elementi positivi idonei a giustificarne l’applicazione. Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione per insussistenza del fatto, ovvero per omessa riqualificazione della condotta sotto la specie di quella prevista dall’art. 378 c.p.: la condotta dell’imputata non era idonea a dimostrare un concorso nella detenzione ma, al più, una mera condotta favoreggiatrice, non essendo desumibile in alcun modo la volontà di partecipazione al reato di detenzione di sostanza stupefacente.

Con il secondo motivo hanno dedotto il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, che avrebbe dovuto essere determinato nel minimo edittale, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputata e del suo ruolo marginale nella vicenda. Infine, il trattamento sanzionatorio avrebbe dovuto considerarsi non proporzionato anche in relazione all’altro imputato, attesa la modesta rilevanza del fatto e il suo positivo contegno processuale, con conseguente sussistenza dei presupposti per la prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche rispetto alla contestata recidiva.

LA QUESTIONE

La questione rimessa alla Corte di Cassazione ha ad oggetto l’individuazione del discrimine tra il concorso di persone nella detenzione di sostanza stupefacente, effetto del combinato disposto tra gli artt. 110 e ss. c.p. e 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e il reato di favoreggiamento personale, previsto e punito dall’art. 378 c.p.

Le sentenze di merito hanno dato atto delle circostanze emergenti dal verbale di arresto dal quale è emerso che l’imputata, avvertita dal marito dell’imminente perquisizione, era stata colta dagli operanti nell’atto di occultare in un armadio la sostanza stupefacente successivamente rinvenuta.

Orbene, la Corte di Cassazione ha rilevato che, in tema di illecita detenzione di stupefacenti, il discrimine tra il concorso nel reato e l’autonoma fattispecie di favoreggiamento personale va rintracciato nell’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione, manifestatasi attraverso individuabili modalità pratiche, di realizzare una facilitazione alla cessazione della permanenza del reato. 

LA SOLUZIONE

La Cassazione ha aderito all’orientamento giurisprudenziale recentemente consolidatosi secondo cui “il reato di favoreggiamento non è comunque configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale”.

Secondo la Corte, infatti, appare decisivo, in favore della condivisibilità di tale orientamento, il rilievo che, per espressa previsione dell’art. 378 c.p. il reato di favoreggiamento è configurabile soltanto con un’azione realizzata “dopo che fu commesso un delitto”, giammai “durante”, ovvero nel corso della permanenza dello stesso.

Conseguentemente, nell’ipotesi di concorso di persone in un reato permanente, ogni condotta causale tenuta dopo la consumazione e fino alla cessazione della permanenza integrerebbe non già il delitto di favoreggiamento personale, bensì un concorso nel reato ex art. 110 c.p.

Nota a cura di Eliana Esposito (avvocato).