Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Il rifiuto di accertamenti sanitari diagnostici

Cass. pen., Sez. I, 2 luglio 2025, sentenza n. 24390

LA MASSIMA

“Il reato di rifiuto di accertamenti sanitari, previsto dall’art. 187, comma 8, Codice della strada, è configurabile anche in caso di ammissione, da parte del conducente, di aver fatto uso di sostanze stupefacenti, non essendo questa in grado di sostituire la portata e la finalità dell’accertamento diagnostico, diretto a verificare il tipo di sostanza e a misurare la rilevanza dell’assunzione”. 

IL CASO

La pronuncia trae origine dal ricorso presentato dall’imputato avverso la decisione resa in sede di appello, la quale confermava la responsabilità penale dello stesso per i reati di cui agli artt. 187 del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il “Nuovo codice della strada”, e 4 della Legge 18 aprile 1975, n. 110, recante le “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”. L’odierno ricorrente, nello specifico, era stato ritenuto colpevole di essersi rifiutato di sottoporsi all’accertamento dell’uso di sostanza stupefacente e di aver portato fuori dalla propria abitazione un coltello a serramanico senza giustificato motivo.

Il medesimo articolava il suo ricorso in tre distinti motivi, di cui il primo di significativa rilevanza ai fini che qui interessano. Attraverso quest’ultimo, egli lamentava la mancata valutazione da parte dei giudici di merito di una circostanza fattuale in grado di escludere la configurabilità del reato. L’imputato, nell’immediatezza del controllo, aveva dichiarato agli agenti di polizia di aver assunto della cocaina prima di mettersi alla guida, elemento che rendeva superfluo l’accertamento. Nell’atto di difesa, invero, viene fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, per la sussistenza della contravvenzione in esame, deve essere provata la volontà di impedire l’accertamento diagnostico, in questo caso rifiutato per timore di un contagio da Covid-19.

Con il secondo motivo di ricorso veniva denunciato il vizio di motivazione circa l’omesso proscioglimento ex art. 131-bis c.p. in relazione al reato di porto abusivo di un coltello. L’imputato fondava questa doglianza sulla considerazione che il trasporto dell’arma fosse avvenuto in un contesto privo di pericoli. Il ricorrente, da ultimo, si duoleva con il terzo motivo della mancata concessione delle attenuanti generiche.

LA QUESTIONE

Al lume di tali premesse, la questione principale rimessa ai giudici di legittimità risulta essere la seguente: l’ammissione di aver fatto uso di sostanze stupefacenti prima di porsi alla guida di un autoveicolo esclude la configurabilità del reato di rifiuto dell’accertamento sanitario diagnostico ai sensi dell’art. 187, comma 8, Codice della strada?

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione riteneva il primo motivo di ricorso manifestamente infondato. In primo luogo, gli Ermellini sottolineavano come la sentenza impugnata desse conto, in modo approfondito, del rispetto della procedura delineata dall’art. 187 Codice della strada. Nella motivazione, infatti, i giudici di merito evidenziavano la presenza di elementi di sospetto dello stato di alterazione del guidatore e, soprattutto, il suo rifiuto agli accertamenti. Rifiuto che veniva opposto sulla base del timore di un contagio, giustificazione che – però – veniva fornita solo in sede di dibattimento e non nell’immediatezza dei fatti. Tale spiegazione appariva, tanto ai giudici della Corte d’Appello quanto della Cassazione, non credibile se confrontata con la decisione dell’imputato di uscire di casa, nonostante le misure di contenimento e di incontrare persone, potenzialmente contagiose, da cui ricevere la sostanza stupefacente.

Ad un maggior grado di dettaglio e rispondendo alla questione principale, la Suprema Corte riteneva che il reato di rifiuto di accertamenti sanitari di cui all’art. 187 Codice della strada è configurabile, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, anche laddove il conducente abbia ammesso di aver fatto uso di droghe. La portata di tale dichiarazione, infatti, non può in ogni caso sostituire la valenza dell’accertamento diagnostico.

I giudici di legittimità, inoltre, non possono sottacere come il ricorrente non si sia confrontato adeguatamente con le motivazioni della sentenza impugnata, ma si sia limitato a proporre argomentazioni generiche, citando altresì sentenze in modo sommario. Ne consegue che tutti i motivi di ricorso presentino i caratteri dell’aspecificità.

Ad avviso della Corte, infatti, con riferimento al secondo motivo di ricorso la pronuncia d’appello ha fornito una motivazione adeguata, negando il proscioglimento ex art. 131-bis c.p. sulla base della potenzialità lesiva dell’arma. In relazione al terzo motivo, invece, i giudici di legittimità statuivano come le argomentazioni racchiuse nel provvedimento di secondo grado siano sufficienti e decisive per non concedere le circostanze attenuanti generiche all’imputato.

La Corte di Cassazione, in definitiva, dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Nota a cura di Serena Ramirez (tutor accademico)