Il perimetro applicativo dell’art. 10 D.Lgs. n. 74/2000

Cass. pen., Sez. III, 3 luglio 2025, sentenza n. 29874
LA MASSIMA
“La condotta di cui all’art. 10, D. Lgs. n. 74 del 2000, può consistere sia nella distruzione che nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori, qui contestato – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorrere il termine di prescrizione”.
IL CASO
Con la sentenza che qui si annota, la terza Sezione continua la sua meritoria opera di perimetrazione dell’art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e lo fa pronunciandosi sul ricorso presentato in favore dell’imputato avverso il decisum di merito – in doppia conforme – con cui è stata comminata la pena ritenuta di giustizia di sei mesi di reclusione in ordine al delitto de quo.
Nel ricorrere avverso le decisioni di identico contenuto, la difesa ravvisava violazione e falsa applicazione di legge penale e vizio di motivazione.
L’eccezione mossa avverso l’impugnata sentenza della Corte di appello concerneva il contrasto tra le evidenze probatorie ed il giudizio di condanna espresso all’esito del dibattimento; la pronuncia, difatti, si sarebbe fondata sull’erroneo presupposto che l’agente avrebbe prima creato le scritture contabili, salvo poi occultare e/o distruggere le stesse.
Un’impostazione ermeneutica che, a giudizio della difesa, confliggeva con la comprovata circostanza che si sarebbe trattato soltanto dell’esercizio di un’attività non dichiarata al fisco (rectius a nero), che presuppone come antecedente logico-giuridico l’inesistenza della tenuta di una contabilità e, non già, il suo occultamento.
Ne consegue, a tenore di parte, che nessuna condotta attiva sarebbe stata riferibile al paradigma del già menzionato art. 10 contestato.
Parimenti, la carenza di elementi a sostegno dell’ipotesi incriminatrice determinava conseguenti ricadute in termini di assenza di prova della coscienza e volontà.
Con il terzo ed ultimo motivo di censura si denunciava l’intervenuta prescrizione del reato, attesa la mancata valorizzazione della disciplina normativa e delle cause di sospensione e di interruzione.
LA QUESTIONE
La sentenza in esame – tesa a porre ordine su due profili, per così dire, probatori inerenti al delitto in esame – si inserisce nell’indirizzo giurisprudenziale della Cassazione in cui ha raffinato criteri da essa già precedentemente delineati.
In primo luogo, i giudici di legittimità sono chiamati a tracciare il perimetro applicativo delle fattispecie di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 74/2000, in caso di rinvenimento presso terzi di copia delle fatture “occultate”, in quanto tale prospettiva può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altro esemplare presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento.
In secondo luogo, si confrontano con il tema dell’individuazione della data di consumazione del reato, anche alla luce delle ambiguità delle forme di manifestazione delle condotte che rendono non sempre agevole l’identificazione di tale momento, nonché del contrasto interpretativo in seno al formante giurisprudenziale e dottrinale in tema di qualificazione giuridica del delitto in termini di reato istantaneo o permanente.
LA SOLUZIONE
Come noto, la disposizione di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 riveste una significativa rilevanza nell’ambito del sistema penal-tributario, atteso che, per un verso, la fattispecie incriminatrice sanziona il contribuente che cerca di eliminare le tracce, sottraendo la sua contabilità (comprovante la condotta evasiva nei confronti del fisco) alla disponibilità degli accertatori, e, dall’altro, è un reato “falcidiato” dall’istituto della prescrizione. Infatti, l’illecito in parola viene a configurarsi nel momento in cui si conclude l’attività accertativa nei confronti del contribuente, con conseguente spostamento in avanti del dies a quo dei termini di prescrizione.
Muovendo da tali premesse e onde addivenire all’«agevole soluzione» della questione rimessale, la sentenza in commento dapprima si sofferma sugli elementi costitutivi della fattispecie contestata, salvo poi statuire in punto di prescrizione, richiamando l’acquis giurisprudenziale in ordine al distinguo che occorre fare tra l’ipotesi di distruzione, che realizza un’ipotesi di reato istantaneo, e quella di occultamento, che costituisce un reato permanente.
Guardando al primo motivo di censura, relativo alla presunta violazione dell’art. 10 cit., la terza Sezione ritiene che lo stesso sia infondato. Tale conclusione sarebbe confermata dai concreti ed oggettivi elementi a sostegno non solo di una gestione societaria a nero, ma anche della condotta di occultamento di libri e scritture contabili.
Nella direzione di una previa istituzione dei libri e delle scritture contabili obbligatorie poi evidentemente occultati, evidenzia la parte motiva della decisione, muovono le plurime evidenze fattuali ricostruite nei giudizi di merito: da un lato, il rinvenimento di alcune fatture presso i clienti/fornitori della società; dall’altro, il costante – e mai accolto – invito rivolto all’imputato in sede di accertamento di esibire la documentazione contabile, unitamente alla circostanza che la mancata esibizione fosse giustificata da una condotta di omessa conservazione da parte del professionista.
Ma vi è di più.
Tutti questi dati oggettivi ed incontestati, uniti al fatto che la società presentava un attivo dei flussi di cassa e che negli anni d’imposta considerati la società non ha ottemperato agli obblighi dichiarativi, hanno fatto ritenere incensurabile la sentenza di appello anche in ordine al profilo del dolo specifico di evasione.
Quanto, invece, all’ultimo dei motivi di ricorso – con cui si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato – la Cassazione chiarisce che se con riferimento alla condotta di occultamento può parlarsi di reato permanente – che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione – in caso di distruzione della contabilità, si parla di reato istantaneo, posto che in questo caso sembra doversi ritenere che il reato si è consumato al momento di tale condotta.
Facendo buon governo di siffatte coordinate ermeneutiche e valorizzando, altresì, il dato normativo di cui all’art. 17, comma 1-bis del D.Lgs. n. 74/2000 in punto di aumento di un terzo dei termini prescrizionali, la sentenza ha concluso per l’individuazione di un termine prescrizionale decennale – non ancora spirato – e per l’effetto confermata la condanna e dichiarato inammissibile il ricorso.
Nota a cura di Maurizio della Ventura (Dottore in giurisprudenza)