Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Il consenso al rapporto sessuale deve essere liberamente espresso e perdurare

Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2025, sentenza  n. 2381

LA MASSIMA
“Il consenso al compimento dell’atto sessuale, non solo deve sussistere, ma anche essere liberamente espresso in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’(eventuale e) antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa.
Né la presenza del consenso può essere dedotta da circostanze estranee al perimento del fatto, come l’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa dall’agente o addirittura desunta dai “costumi sessuali” della stessa.”

IL CASO
La vicenda trae origine da un ricorso proposto avverso una sentenza della Corte d’Appello che, in totale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 609-bis c.p.
In particolare, i ricorrenti lamentavano, tra gli altri motivi, violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, partendo dal presupposto che nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna il giudice d’appello “non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata”. Il giudice che intenda riformare integralmente la sentenza di primo grado dovrà pertanto indicare in maniera approfondita e diffusa gli argomenti idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado, “non potendo limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio solo perché in tesi preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato”.
Come correttamente rilevato dal ricorrente, nel caso di specie, la Corte d’Appello ha sovrapposto il proprio soggettivo personale convincimento a quello del Tribunale, limitandosi a valorizzare solo alcuni degli elementi di prova e omettendo quelli ritenuti decisivi dal primo giudice.
Alla luce delle esposte considerazioni, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del delitto di violenza sessuale, confermando l’orientamento ormai costante secondo cui il consenso al compimento dell’atto sessuale, che esclude la configurabilità del reato, deve essere verificato in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, a prescindere dalla condotta tenuta dalla persona offesa nel periodo antecedente e successivo alla violenza.

LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha preliminarmente ricordato come la giurisprudenza abbia, in plurime decisioni, chiarito che “il consenso al compimento dell’atto sessuale, non solo deve sussistere, ma anche essere liberamente espresso in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’(eventuale e) antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa”, per poi precisare che la presenza del consenso non potrà neppure essere dedotta da “circostanze estranee al perimento del fatto, come l’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa dall’agente o addirittura desunta dai “costumi sessuali” della stessa”.
La Corte di Cassazione ha infine ribadito che il consenso all’atto sessuale deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, “potendosi la revoca del consenso intervenuta “in itinere” desumere da fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà”.