Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Il confine tra favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa

Cass. Pen., Sez. V, 10 luglio 2025, sentenza n. 25557

LA MASSIMA

La giurisprudenza di questa Corte, nel delineare la figura del concorrente esterno ha chiarito che risponde di concorso esterno nel delitto associativo colui che, non inserito organicamente nel sodalizio, agisca con la finalità di apportare un contributo significativo e determinante per la vita e la sopravvivenza dello stesso, supportandone l’azione nei momenti di particolare difficoltà”

IL CASO

Il caso sottoposto all’attenzione della Quinta Sezione Penale della Suprema Corte trae origine dall’Ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame, in parziale riforma dell’Ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, sostituiva all’indagato la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico.

La condotta contestata all’indagato era di concorso esterno in associazione mafiosa e, in particolare, di avere assicurato canali riservati e stabili di comunicazione ad una famiglia mafiosa, contribuendo ad organizzare le riunioni dei sodali relative alla pianificazione e all’esecuzione del programma criminoso.

La difesa ha lamentato, con un unico motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata quanto alla sussistenza della gravità indiziaria in relazione alla condotta di cui agli artt. 110, 416 bis c.p., poiché erano stati indicati unicamente gli episodi in cui l’indagato sarebbe stato intercettato quale intermediario tra i terzi e il proprio fratello – appartenente alla criminalità organizzata – senza chiarire il contributo apportato dallo stesso all’associazione.

La difesa ha ritenuto illogica la motivazione, dunque, laddove il GIP aveva escluso di riqualificare la condotta posta in essere dall’indagato nell’ipotesi più lieve di favoreggiamento, ritenendo apprezzabilmente pregnante e duraturo il contributo apportato dal medesimo all’associazione, nonché in ragione del fatto che lo stesso aveva messo a disposizione il proprio bar come luogo di incontri tra il fratello e i terzi.

La difesa, invero, ha evidenziato come le intercettazioni riguardassero solo quattro comunicazioni afferenti un periodo compreso tra il 15 giugno 2021 e il 24 marzo 2023, mancando, pertanto, la stabilità, la concretezza e la volontarietà del contributo apportato dall’indagato, avendo egli agito in favore del fratello in ragione delle minacce allo stesso rivolte.

LA QUESTIONE

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito al motivo proposto in ricorso e in particolare sulla corretta qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’indagato, con il proposito di chiarire il confine tra il reato di favoreggiamento e quello di concorso esterno in associazione mafiosa.

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso avanzato dalla difesa, ritenendo immune da vizi logici l’impugnata ordinanza e dunque sussistenti i gravi indizi di colpevolezza.

È stato chiarito che è qualificabile come concorso esterno in associazione mafiosa la condotta di colui che non inserito organicamente nel sodalizio, agisca con la finalità di apportare un contributo significativo e determinante per la vita e la sopravvivenza dello stesso, supportandone l’azione nei momenti di particolare difficoltà.

Invero, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure quanto sostenuto dal Tribunale del Riesame ritenendo che lo stesso avesse evidenziato opportunamente come l’indagato avesse svolto il ruolo di agevolatore delle dinamiche associative pur non appartenendo di fatto al sodalizio. Ciò era stato ritenuto all’esito delle intercettazioni in cui talvolta l’indagato era interlocutore e altre latore di comunicazioni da e per il fratello in vista di appuntamenti con terzi.

L’impugnata ordinanza, ha ritenuto la Suprema Corte, esalta il contributo dell’indagato rispetto all’associazione mafiosa. Egli, invero, aveva reso possibile che il proprio bar divenisse “[…] l’insospettabile luogo per la concertazione in forme stabili di riunione riservate tra esponenti mafiosi”.

L’ordinanza ha anche valorizzato il consenso volontario e consapevole dell’indagato all’utilizzo del bar di cui era titolare come luogo in cui consentire a terzi di rintracciare il fratello, che non usava utenze telefoniche, per concordare gli appuntamenti con i membri dell’associazione.

In relazione al principale motivo di doglianza e, dunque, in merito alla corretta qualificazione giuridica della condotta dell’indagato, la Suprema Corte ha chiarito che l’ordinanza impugnata individua correttamente il discrimen tra il reato di favoreggiamento e quello di concorso esterno in associazione mafiosa. Esso si rinviene nell’assenza della episodicità e della limitazione soggettiva, propria del reato di favoreggiamento, nella condotta de qua.

Il sostegno assicurato dall’indagato risulta, infatti, esteso a più soggetti nonché costante e di apprezzabile durata.

La Suprema Corte, pertanto, chiarisce che la condotta dell’agente, proprio perché relativa a più soggetti, non è apparsa sorretta dall’intenzione di aiutare un partecipe ad eludere le investigazioni dell’autorità, ma dalla volontà di offrire “un pregnante contributo fattuale al sodalizio.

All’esito di tale percorso argomentativo la Corte di Cassazione si è pronunciata rigettando il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, evidenziando la corretta qualificazione giuridica della condotta ascritta all’indagato e l’immunità da censure dell’ordinanza impugnata.

Nota a cura di Raffaella Lofrano