Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Guida in stato di alterazione psicofisica aggravata dalla causazione di un sinistro

Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2025, sentenza n. 2020

LE MASSIME
“La mera alterazione, tale da incidere sull’attenzione e sulla velocità di reazione dell’assuntore, di per sé non è rilevante, se non se ne dimostra l’origine; l’accertamento richiesto, quindi, deve riguardare sia l’avvenuta assunzione, sia le caratteristiche proprie dell’alterazione”.


“Per affermare la sussistenza dell’aggravante, è necessario che l’agente abbia provocato un incidente e che, quindi, sia accertato il coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro e non già il mero suo coinvolgimento nello stesso”.

IL CASO
La Corte di Appello confermava la condanna del Tribunale, che aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 187, comma 1, cod. strada. Nello specifico, l’imputato si era posto alla guida dell’autovettura in stato di alterazione psicofisica derivante dall’assunzione di cocaina, come rilevato dall’esame di liquidi biologici e dal prelievo ematico. Inoltre, la condotta dell’imputato era aggravata dalla circostanza di cui all’art. 187, comma 1bis, cod. strada, in quanto lo stesso aveva provocato un incidente stradale non essendosi fermato all’alt intimatogli.
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo più motivi. Con il primo motivo deduceva vizio di motivazione in relazione all’alterazione dello stato psicofisico. Si osservava che vi fosse stato un travisamento delle prove, dal momento che la precedente assunzione della sostanza stupefacente non rilevava, di fatto, ai fini dello stato di alterazione psicofisica al momento della guida. A riprova dell’assunto, il ricorrente evidenziava che i carabinieri non gli avessero ritirato la patente, come invece si fa quando si rileva uno stato di alterazione, e che gli esami ematochimici registravano solo una “compatibilità apparente” con lo stato di alterazione da pregressa assunzione. Con il secondo motivo si deduceva erronea applicazione di legge, in quanto la Corte aveva ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato senza una corretta valutazione dei dati sintomatici dell’alterazione. Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente rilevava, invece, vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dell’aggravante, ritenendo indimostrato l’accertamento del nesso tra il tentativo di sottrarsi al controllo e il successivo incidente. Con il quinto motivo, invece, si deduceva l’erronea applicazione dell’art. 187, comma 3, cod. strada per aver confuso la certificazione ISO 9001 con l’accreditamento ISO/IEC 17025. Con il sesto motivo, invece, si deduceva la violazione degli artt. 63, 64 e 350, comma 6, c.p.p., in quanto la Corte d’appello aveva fondato il suo convincimento anche sulla base di dichiarazioni erroneamente allegate alla relazione sull’incidente stradale. Ancora, con il penultimo motivo il ricorrente deduceva carenza ed illogicità della motivazione, in quanto la Corte non aveva fornito alcuna riposta alla violazione del divieto di bis in idem, rilevata dinanzi ai giudici di seconde cure. Infine, con l’ultimo motivo si deduceva violazione dell’art. 649 c.p.p., poichè il divieto di un secondo giudizio doveva essere valutato sulla base della corrispondenza storico-naturalistica degli elementi costitutivi del reato, in relazione alle circostanze di tempo, luogo e di persona.

LA QUESTIONE
Le questioni poste all’attenzione della Cassazione attengono alla configurabilità della fattispecie di cui all’art. 187, comma 1, cod. strada e dell’aggravante di cui all’art. 187, comma 1bis, cod. strada.

LA SOLUZIONE
La Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato. Con riguardo ai primi due motivi i giudici di legittimità hanno subito chiarito che la fattispecie di cui all’art. 187 cod. strada punisce non già chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti ma chi guida in stato di alterazione psicofisica determinato da tale assunzione. Sulla scorta di tanto la semplice assunzione, a meno che non incida sull’attenzione e sulla velocità di reazione, non rileva di per sé. L’accertamento pertanto deve riguardare sia l’assunzione sia le caratteristiche dell’alterazione. Quest’ultima sussiste quando lo stato di coscienza è anche solo modificato dall’assunzione dello stupefacente: non è necessario, infatti, che si raggiunga una totale compromissione dello stato psico-fisico. Dunque, per accertare la fattispecie in esame occorrono necessariamente tanto un accertamento biologico quanto un accertamento dell’effettiva alterazione psicofisica. Il primo può essere effettuato mediante analisi delle urine ed esami ematici, i quali sono certamente più attendibili rispetto alle prime. L’accertamento dell’effettiva alterazione psicofisica postula invece un’osservazione della realtà e quindi della condotta dell’agente. Nel caso di specie, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, l’imputato non si era fermato all’alt intimatogli dalla polizia stradale e successivamente aveva serbato una condotta violenta, in seguito alla quale veniva arrestato e giudicato per i reati di resistenza e lesioni personali. Sulla scorta di quanto affermato, non rilevava l’osservazione del ricorrente in forza della quale il fatto che non gli fosse stata ritirata la patente giustificava quindi l’assenza di uno stato di alterazione. In relazione, invece, ai motivi attinenti alla sussistenza della circostanza aggravante la Corte ha ritenuto che i giudici di seconde cure abbiano fatto buon governo dei principi ormai sedimentati nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’aggravante ricorre allorquando vi sia un coefficiente causale della condotta rispetto al sinistro ed è sufficiente che vi sia un collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro e lo stato di alterazione dell’agente. L’incidente deve essere quindi una conseguenza delle violazione delle regole cautelari, codificate o meno e lo stesso deve essere accertato sulla base delle circostanze del caso concreto. Il quinto motivo di ricorso è stato dichiarato infondato e il sesto inammissibile. I motivi settimo e ottavo sono stati trattati congiuntamente e sono stati dichiarati infondati, non ravvisando alcuna violazione del ne bis in idem. Infatti, all’attenzione dei giudici d’appello non veniva posta certamente la condotta consistita nella reazione violenta posta dopo aver causato l’incidente e nelle lesioni dei pubblici ufficiali. Infine, sulla violazione del principio de quo i giudici hanno rammentato che la valutazione ad opera dell’autorità giudiziaria riguarda l’idem factum e non l’idem legale.