Furto in abitazione: la nozione di privata dimora

Cass. pen., Sez. IV, 30 Aprile 2025, sentenza n. 16366
LA MASSIMA
“[…] La nozione di privata dimora, di rilievo ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen., ha una natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico, e non già alla persona del derubato. Non è richiesto, cioè, quale necessario presupposto, che la persona offesa coincida con lo stesso soggetto cui pertenga la disponibilità del luogo, con potere di escluderne l’eventuale accesso a terzi. Una volta che, come nel caso di specie, venga concesso alla terza persona di accedere al luogo di privata dimora, l’eventuale illecita sottrazione di un bene di proprietà del terzo non fa venir meno la qualificazione del reato come furto in abitazione, in quanto perpetrato in un luogo che, per l’appunto, secondo i canoni interpretativi indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si connota certamente quale luogo di privata dimora.”
IL CASO
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame si è pronunciata sul ricorso proposto dall’imputata avverso la sentenza della Corte d’Appello, in forza della quale è stata riconosciuta la sua penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 81, 624 bis e 493 ter cod. pen. In particolare, l’imputata con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ha sottratto da un borsellino di proprietà di una donna, posto all’interno di una borsetta lasciata nella sagrestia di una chiesa, una carta bancomat e, in successione, l’ha utilizzata indebitamente per effettuare quattro diversi prelievi di denaro presso lo sportello della banca per una complessiva somma di euro 1.350,00, nonché compiuto acquisti per un importo di euro 149,00 presso un esercizio commerciale.
Nel primo motivo di ricorso l’imputata si duole dell’erronea applicazione dell’art. 624 bis cod. pen.: la condotta contestatale dovrebbe essere qualificata come furto semplice e non come furto in abitazione, in quanto la privata dimora della sagrestia potrebbe essere riferita solo al parroco, non alla persona offesa, in quanto solo il primo e non quest’ultima sarebbe titolare dello jus excludendi.
Con il secondo motivo, invece, si lamenta la carenza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non concede le circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione, nel dichiarare privo di ogni fondamento il primo motivo di ricorso, affronta la portata della nozione di privata dimora dell’art. 624 bis cod. pen. alla luce della giurisprudenza più recente.
LA SOLUZIONE
In particolare, costituisce ormai orientamento consolidato la qualificazione della sagrestia di una chiesa come “privata dimora”, in quanto strumentale “allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l’edificio sacro ma altresì la casa canonica, […] essendone l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità”. Pertanto, anche ai fini dell’art. 624 bis cod. pen., la privata dimora individua quei luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, non aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Ciò nondimeno, comprovato come la disponibilità della sagrestia e del relativo potere di esclusione dei terzi appartenga, in via esclusiva, alla persona del parroco, non può da ciò desumersi l’insussistenza dell’elemento specializzante del reato di furto in abitazione. Difatti, non costituisce presupposto necessario ai fini del reato in questione che la persona offesa coincida con il titolare dello jus excludendi: la nozione di “privata dimora, di rilievo ai sensi dell’art. 624 bis cod. pen., ha natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico e non già alla persona del derubato”.
Di conseguenza, una volta concesso al terzo di accedere al luogo di privata dimora, l’illecita sottrazione ai suoi danni di un bene di sua proprietà “non fa venir meno la qualificazione del reato come furto in abitazione, in quanto perpetrato in un luogo che […] si connota certamente quale luogo di privata dimora”.
Ne deriva, dunque, il riconoscimento della corretta qualificazione giuridica del reato contestato quale furto in abitazione, con conseguente manifesta infondatezza del primo motivo.
Parimenti, manifestamente infondato è il secondo motivo, posto che il giudice di merito si è allineato al principio secondo cui il “giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi o comunque si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione”.
A cura di Mirco Paglia