Falsa testimonianza e causa di non punibilità ex art. 384 c.p.

Cass. pen., Sez. VI, 22 maggio 2025, sentenza n. 19130
LE MASSIME
“La struttura della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 384 c.p. postula che il comportamento astrattamente illecito, in relazione alle circostanze oggettive del caso concreto, costituisca l’unica opzione per scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o ai suoi prossimi congiunti”.
“In relazione al reato di falsa testimonianza di cui all’art. 372 c.p., il giudice è tenuto ad accertare soltanto che a fronte dell’obbligo giuridico di dire la verità la persona sia tenuta a scegliere tra autoincriminarsi o mentire”.
IL CASO
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla sentenza del Tribunale che ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 372 c.p., applicandogli la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. in relazione al delitto di falsa testimonianza commesso nell’ambito del procedimento penale a carico di un suo amico.
Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore, articolandolo in due motivazioni. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 384 c.p., per avere il giudice di prime cure applicato la causa di esclusione della punibilità in assenza dei presupposti normativamente previsti, così come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità. Con il secondo motivo, il ricorrente ha eccepito il vizio di motivazione dell’impugnato provvedimento, per aver ritenuto che le dichiarazioni false e reticenti dell’imputato fossero volte ad evitare un’accusa penale senza argomentare in ordine al delitto astrattamente configurabile.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene alla corretta configurazione dei presupposti della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. nell’ipotesi di falsa testimonianza.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto, dichiarandolo fondato.
Il giudice di legittimità ha ritenuto che nessuna delle circostanze oggetto della deposizione del teste rendesse ipotizzabile una sua auto-incriminazione, riguardando le stesse elementi del tutto estranei alle contestazioni formulate nei confronti dell’amico. Né, tantomeno, la Corte ha ritenuto evincersi dalla motivazione della sentenza impugnata che, al momento dell’escussione del teste, fossero emersi elementi, anche meramente indiziari, sulla cui base supporre l’assunzione della qualifica di imputato di un qualsiasi reato, o ulteriori ragioni per ritenere che lo stesso potesse essere obbligato a deporre su fatti dai quali potesse emergere la sua responsabilità penale.
La Suprema Corte, infine, ha ribadito che la struttura della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., la quale trova la propria ragion d’essere nel principio di inesigibilità di condotte giuridiche autolesive, postula che il comportamento astrattamente illecito, in relazione alle circostanze oggettive del caso concreto, debba costituire l’unica opzione per scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o ai suoi prossimi congiunti.
Alla stregua di tali argomenti la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, rinviandola per un nuovo giudizio al giudice di prime cure.
Segnalazione a cura di Riccardo Giuseppe Carlucci