Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Delitto di usura: consumazione e concorso del terzo nel reato

Cass. pen., Sez. II, 30 giugno 2025, sentenza n. 24109

LA MASSIMA

“Se l’usura è un reato a consumazione prolungata che può essere consumato sia con la mera pattuizione degli interessi usurari (anche in assenza di effettivo pagamento degli stessi) sia con il successivo pagamento di tali interessi (in una o più soluzioni) e se il pagamento – quando si verifica – consuma esso stesso il reato, prolungando la condotta usuraria, deve ritenersi che l’esattore incaricato di riscuotere un rateo del debito usurario, quando siano già state pagate altre somme in esecuzione del patto, non sia un semplice favoreggiatore reale, ma un concorrente nell’usura in corso di progressiva consumazione”.

IL CASO

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione trae origine dal ricorso presentato da uno due correi nel delitto di usura avverso il diniego del riesame dell’ordinanza che disponeva nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari.

Avverso detta pronuncia, i difensori proponevano ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al concorso nel reato di usura per il quale il soggetto era indagato.

Secondo la prospettazione difensiva, infatti, poiché non aveva portato a termine l’incarico di riscossione affidatogli dal padre né partecipato alla pattuizione illecita – momento consumativo del delitto di usura – la condotta dell’indagato avrebbe dovuto essere ricondotta esclusivamente all’interno una ipotesi di favoreggiamento reale.

LA QUESTIONE

La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte concerne l’individuazione della natura e del momento consumativo del delitto di usura con particolare riferimento ai casi in cui ci si trovi in presenza della condotta di un soggetto che, pur non avendo preso parte alla pattuizione originaria, venga incaricato – successivamente al perfezionamento del predetto accordo – della riscossione del “credito usurario”, anche mediante successivi e distinti pagamenti.

In questi casi, si tratta di stabilire se tale soggetto, allorquando la riscossione non si sia perfezionata, risponda del delitto di usura ai sensi del combinato degli artt. 110 c.p. e 644 c.p. ovvero dell’autonoma fattispecie di favoreggiamento reale ai sensi dell’art. 379 c.p.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità inquadra il delitto di usura nel novero dei reati a condotta prolungata o frazionata, essendo rilevante ai fini dell’incriminazione sia la condotta di “farsi promettere” che quella di “farsi dare” interessi o vantaggi usurari che sposta in avanti il momento della consumazione (e della prescrizione) del reato stesso.

Pertanto, se la condotta si esaurisce con la promessa, a cui non segua l’effettiva dazione, il reato si considera perfezionato e consumato nel momento della promessa, mentre nell’ipotesi in cui alla promessa segua l’effettiva dazione, il reato si consuma nel momento dell’ultima dazione (che segna l’esaurimento del reato), anche se si è già perfezionato con la promessa. Conseguentemente, se la dazione avviene attraverso una pluralità di corresponsioni, ogni singola dazione fa parte a pieno titolo del reato di usura.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, in continuità con il prevalente orientamento giurisprudenziale, ha confermato che l’usura rientra nel novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata, in quanto i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale.

In particolare, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, quest’ultima non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato.

Ne consegue che la condotta dell’esattore, pur concretizzandosi in un momento successivo al perfezionamento di detta pattuizione, si colloca all’interno della fase esecutiva del reato di cui la riscossione rappresenta il momento di massima gravità.

Colui il quale riceve l’incarico di recuperare il credito usurario riuscendo a ottenerne il pagamento concorre nel delitto di usura ai sensi dell’art. 644 c.p., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un “contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto”.

L’esattore risponderà di favoreggiamento reale, invece, nel solo caso in cui, chiamato a riscuotere per la prima volta il debito usurario, non ne ottenga il pagamento, essendosi il reato definitivamente consumato con la pattuizione originaria.

Al contrario, egli risponderà a titolo di concorso nel delitto di usura, non solo nel caso in cui ottenga il pagamento della somma pattuita, ma anche nel caso in cui, dopo che alcune rate del debito usurario sono state riscosse, si impegni nella esazione di una di esse e non ne ottenga il pagamento, poiché, in tale ultimo caso, il suo contributo interviene quando l’usura è in corso di progressiva consumazione.

Alla stregua di tali principi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, rilevando come, nel caso sottoposto alla sua attenzione, l’usura fosse “in corso di consumazione”, essendo la riscossione già in parte avvenuta al momento dell’incarico dell’esattore nonostante il mancato perfezionamento della sua azione.

Nota a cura di Alessia Perla (Avvocata)