Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Delitto di ricettazione: la prova dell’illecita provenienza

Cass. pen., Sez. II, 12 giugno 2025, sentenza n. 22267

LA MASSIMA

“Integra il delitto di ricettazione la condotta di chi sia sorpreso nel possesso di una rilevante somma di denaro, di cui non sia in grado di fornire plausibile giustificazione, qualora, per il luogo e le modalità di occultamento della stessa, possa, anche in considerazione dei limiti normativi alla proiezione di contante, desumersene la provenienza illecita ritenuta. In caso di rinvenimento di rilevanti somme di denaro contante o di beni preziosi prive di giustificazione, la prova dei delitti di ricettazione e riciclaggio non può fondarsi esclusivamente sulle particolari modalità di occultamento del contante, significative della volontà di occultarlo, e dell’assenza di redditi leciti, ma occorre la presenza di ulteriori elementi significativi della certa provenienza da delitto e ciò proprio per scongiurare il pericolo di comprimere il diritto di proprietà”.

IL CASO

La vicenda in esame trae origine dal ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado di condanna dell’imputato in ordine al delitto di ricettazione di una ingente somma di denaro contante di provenienza illecita, occultato all’interno dell’autovettura su cui viaggiava.

Avverso la decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione censurando, tra gli altri, il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione, in ragione dell’inidoneità degli argomenti a sostegno della colpevolezza del ricorrente e dell’origine illecita dell’intero importo rinvenuto e sequestrato.

In particolare, il difensore evidenziava come, al fine di ritenere la provenienza illecita dell’importo, erano state valorizzate la quantità e la modalità di custodia della somma e non si era considerato che, in assenza di prova certa sulla provenienza illecita, la stessa non poteva essere attribuita all’intera somma rinvenuta, così da dover almeno in parte riconoscere la liceità della provvista.

L’imputato, infine, deduceva il vizio di motivazione in ordine alla prova dell’origine delittuosa del denaro oggetto della presunta ricettazione in quanto, a fronte di un capo di imputazione che considerava il denaro oggetto di paventata ricettazione di sicura provenienza illecita, la sentenza impugnata lo ha ritenuto provento di narcotraffico, senza alcuna prova al riguardo e in contrasto con l’imputazione.

 LA QUESTIONE

La questione al vaglio della Corte verte sulla configurabilità del reato di ricettazione e, segnatamente, sulla modalità di accertamento del requisito della provenienza da delitto nel caso di rinvenimento di rilevanti somme di denaro contante o di beni preziosi prive di giustificazione.

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, reputando le censure formulate una mera reiterazione di quelle già dedotte con i motivi di appello, invocando una diversa ricostruzione nel merito del compendio probatorio acquisito.

La Corte, peraltro, rimettendosi alla giurisprudenza oramai consolidata, ha ribadito che integra il delitto di ricettazione la condotta di chi sia sorpreso nel possesso di una rilevante somma di denaro, di cui non sia in grado di fornire plausibile giustificazione, qualora, per il luogo e le modalità di occultamento della stessa, possa, anche in considerazione dei limiti normativi alla proiezione di contante, ritenersene la provenienza illecita ritenuta.

Ha precisato, inoltre, che in caso di rinvenimento di ingenti somme di denaro contante o di beni preziosi prive di giustificazione, la prova dei delitti di ricettazione e riciclaggio non può fondarsi esclusivamente sulle particolari modalità di occultamento del contante, significative della volontà di occultarlo, e dell’assenza di redditi leciti, ma occorre la presenza di ulteriori elementi significativi della certa provenienza da delitto e ciò proprio per scongiurare il pericolo di comprimere il diritto di proprietà.

Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che i giudici di appello avessero fatto corretta applicazione di tale consolidato orientamento, valorizzando alcuni inequivoci elementi di fatto quali: l’ingente importo della somma detenuta in contanti, le modalità di occultamento della stessa – che era custodita all’interno di un doppio fondo, nel quale il cane addestrato aveva avvertito l’odore di sostanze stupefacenti –, l’atteggiamento preoccupato e agitato dell’imputato al momento del controllo, la disponibilità di un telefono criptato, l’assenza di giustificazioni in merito al trasporto e alla destinazione della somma e la sottoposizione dell’imputato a misure cautelari custodiali in relazione al concorso in produzione e traffico di sostanze stupefacenti.

Dunque, nel rispetto dei principi ribaditi in tema, i giudici di legittimità hanno concluso che soltanto un concorde e univoco compendio probatorio, come nel caso di specie, può dimostrare la provenienza delittuosa della somma di denaro rinvenuta, così integrando il contestato reato di ricettazione.

Nota a cura di Eleonora Vittoria Chirico