Diritto Penale, Novità Normative

D.L. 21 ottobre 2020, n. 130 Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonchè misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Con Decreto Legge 21 ottobre 2020 , n. 130, recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis , 391-bis , 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”, sono state introdotte – sebbene in attesa di conversione – ulteriori novità nel testo del Codice penale.
In primo luogo, l’art. 7 del Decreto prevede una “Modifica dell’articolo 131 bis del codice penale” e, in specie, al secondo comma, secondo periodo dell’art. 131 bis c.p. viene sostituito il riferimento al “pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni” con le parole “di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni e nell’ipotesi di cui all’articolo 343”.
Il testo della norma, a seguito della novella e salva la conversione, dovrebbe pertanto così recitare: “L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, […] nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti [PARTE ABROGATA] di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni e nell’ipotesi di cui all’articolo 343”
L’esclusione dell’operatività della causa di non punibilità introdotta dall’ art. 16, comma 1, lett. b), D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2019, n. 77, a decorrere dal 10 agosto 2019, è stata così limitata alle sole condotte di resistenza e oltraggio ai danni del personale di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni e non già di qualsiasi pubblico ufficiale. Permangono le perplessità in merito al riferimento all’esercizio delle proprie funzioni, di per sé presupposto dei reati predetti, cui si affianca oggi l’oltraggio al magistrato in udienza ex art. 343 c.p.
La novella è destinata a produrre effetti retroattivi, nella prima parte, favorevole, e irretroattivi in relazione alla seconda parte, che estende la limitazione della clausola di non punibilità al delitto ex art. 343 c.p.
Si tratta di una disciplina che tutt’ora è sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.
L’art. 8 del Decreto prevede modifiche alla disciplina dell’art. 391 bis c.p., a partire dalla rubrica dell’articolo, che muta in “Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni”, invece dell’attuale “Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario”.
In disparte le etichette, è previsto un aumento di pena per le condotte di cui all’art. 391 bis c.p., che al primo comma punisce “Chiunque consente a un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all’uopo imposte”, con una pena che passa dalla reclusione da uno a quattro anni alla pena della reclusione “da due a sei anni” per effetto della novella; anche la condotta di cui al comma secondo, che punisce più gravemente il reato, “Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense”, subisce un inasprimento sanzionatorio, passando la pena da due a cinque anni di reclusione a quella della reclusione “da tre a sette anni”.
È stato inoltre aggiunto un nuovo comma, ai sensi del quale “La pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 il quale comunica con altri in elusione delle prescrizioni all’uopo imposte”, estendendo così la fattispecie anche al detenuto, prima estraneo al reato.
L’art. 9 del Decreto introduce nel Codice penale l’art. 391 ter c.p., “in materia di contrasto all’introduzione e all’utilizzo di dispositivi di comunicazione in carcere”, che punisce il delitto di “Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti”.
In forza del neo-introdotto articolo, salva conversione ed eventuali modifiche al testo del Decreto in esame, “Fuori dai casi previsti dall’articolo 391 bis , chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.
Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni.”.
Si tratta pertanto di una fattispecie analoga a quella prevista dall’art. 391 bis c.p., disposizione con la quale è coordinata con una clausola di riserva, che riguarda però i detenuti in generale e non solo “sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354”.
La novella in esame, all’art. 10, prevede infine una modifica dell’art. 588 c.p., che punisce il delitto di rissa, modificandone la pena pecuniaria, che passa da 309 a 2.000 euro, nonché innalzando la pena per il caso in cui nella rissa taluno rimanga ucciso o riporti lesione personale, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, prevedendo quella da sei mesi a sei anni di reclusione, in luogo della precedente pena della reclusione da tre mesi a cinque anni.
Dovrà attendersi la conversione del Decreto Legge per conoscere il testo definitivo delle norme in questione.