Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Concorso di reati: porto illegale di armi e detenzione di armi

Cass. pen., Sez. V, 8 gennaio 2025, sentenza n. 642

LA MASSIMA
“In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista, altresì, la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta.
La detenzione e il porto sono due condotte distinte e autonome per cui normalmente la prima precede il secondo e, pertanto, l’assorbimento dell’una nell’altro si ha esclusivamente quando emergono elementi idonei a superare il criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto”.

IL CASO
La Corte di Appello ha confermato la sentenza pronunciata all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale territoriale nei confronti dei quattro imputati, condannati rispettivamente il primo, alla pena di anni undici e mesi quattro in relazione ai reati di cui agli artt. 628 e 56, 575, 577, 416 bis. 1 c. p. nonché 2, 4 e 7 I. 895 del 1967; il secondo alla pena di anni undici e mesi quattro di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 56, 575, 577, 416 bis. 1 c. p. nonché 2, 4 e 7 I. 895 del 1967, 648, 697 e 23 I. 110 del 1975, 337 e 339 c. p. e 582, 585 in relazione all’art. 576, comma 1, numero 5 bis e 61 n. 2, c. p.; il terzo, alla pena di anni 8 e mesi quattro in relazione ai reati di cui agli artt. 56, 575, 577, 416 bis. 1 c. p. nonché 2, 4 e 7 I. 895 del 1967 e il quarto alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli artt. 628 e 2, 4 e 7 I. 895 del 1967.
Avverso la sentenza di appello hanno presentato ricorso gli imputati deducendo vizio di motivazione, anche con riferimento al travisamento della prova per inesistenza quanto all’affermazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 56 e 575 c. p..
Nel primo motivo, le difese rilevano che la lettura del compendio probatorio, anche fondata su una travisata lettura delle conversazioni intercettate, sarebbe errata.
Nello specifico la Corte non avrebbe adeguatamente considerato che uno degli imputati aveva reagito all’aggressione subita dagli avversari e che la sua eventuale intenzione di uccidere non era comunque condivisa dagli altri imputati che non hanno avuto, ab origine, l’animus necandi.
Nel secondo motivo, si evidenzia che nel caso di specie non sussisterebbero i presupposti per riconoscere l’aggravante della premeditazione in quanto difetterebbe il c.d. “requisito cronologico” e, comunque, non ci sarebbe stata una effettiva pianificazione preliminare e questa, al più, sarebbe qualificabile come preordinazione.
Ciò emergerebbe anche dalle considerazioni contenute nella sentenza di merito dove, nella parte in cui ritiene la sussistenza dell’aggravante di motivi abbietti e futili, fa riferimento al fatto che l’agguato sarebbe avvenuto in un luogo che non è riferibile al clan camorristico interessato.
Con il terzo motivo di appello si rileva che i fatti non sarebbero riferibili agli interessi dell’associazione ma sarebbero stati la conseguenza di una singola azione, la rapina, avulsa dal contesto camorristico, né, d’altro canto, le modalità di esecuzione sarebbero qualificabili come mafiose.
La difesa deduce, inoltre, il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, ciò in quanto il carattere integrale del risarcimento del danno nel delitto di rapina va verificato in funzione del duplice oggetto della condotta dell’agente in relazione all’interesse leso, dovendo in esso quindi ricomprendersi, oltre al danno cagionato contro il patrimonio dall’azione diretta all’impossessamento della cosa, anche quello fisico o morale, prodotto alla incolumità personale o alla libertà individuale della persona offesa e dei soggetti che hanno direttamente subito la condotta.
Il ragionamento seguito dalla Corte territoriale che avrebbe fondato la propria conclusione di escludere la sussistenza della circostanza, limitandosi a ritenere che la somma offerta sia incongrua in termini risarcitori è viziato, laddove, invece, avrebbe dovuto considerare l’offerta anche da un punto di vista soggettivo, cioè in termini di dimostrazione di un avvenuto ravvedimento.
È stato rilevato anche vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
La difesa evidenzia che le giustificazioni poste dai secondi giudici a fondamento del diniego sarebbero carenti in quanto espressioni di considerazioni astratte che non tengono conto della concreta personalità del ricorrente e, nello specifico, all’offerta di risarcimento, che comunque ha rilievo ai fini di una più favorevole valutazione della personalità dell’imputato.
Con l’ultimo motivo, si censura il provvedimento impugnato nella parte in cui non ha ritenuto che la condotta di detenzione fosse assorbita in quella di porto abusivo dell’arma, ciò in linea con la pacifica giurisprudenza di legittimità.

LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione è chiamata a decidere sulla correttezza dell’operato della Corte di merito sotto diversi profili, in particolare sulla sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione, della circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso” di cui all’art. 416 bis.1 c. p. e della circostanza attenuante del risarcimento del danno nonché in relazione alla mancata esclusione del concorso materiale tra il reato di detenzione e quello di porto abusivo di arma.

LA SOLUZIONE
La Corte di merito, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha fornito congrua risposta alle critiche contenute nell’atto di appello, reiterate in sede di legittimità e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso del giudizio di primo grado.
Alla Corte di Cassazione è precluso sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.
A fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla ricostruzione dei fatti, basata sul tenore delle conversazioni intercettate e sugli accertamenti effettuati, ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura degli elementi emersi, risulta del tutto inconferente.
Il limite alla deducibilità del vizio di motivazione, d’altro canto, non può essere superato facendo generico riferimento al travisamento della prova.
Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. U, 19 gennaio 2017, n. 18620), infatti, il travisamento della prova sussiste solo quando emerge che la lettura di una specifica prova sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione, cioè quando la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
Il travisamento della prova, quindi, è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio.
Sotto tale profilo, pertanto, il travisamento della prova, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice; consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti, in modo da rendere la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento.
Nel caso di specie la Corte territoriale non è incorsa in alcun travisamento e, facendo specifico riferimento alle conversazioni intercettate e gli accertamenti effettuati, ha fornito una risposta adeguata e coerente alle critiche formulate dalla difesa.
In particolare, in ordine alla responsabilità e alla volontà omicidiaria dei ricorrenti, la lettura attribuita nella pronuncia impugnata al tenore delle conversazioni, nelle quali si organizza una spedizione punitiva, si parla espressamente della necessità “di sparare nello stomaco a tutti quanti” e alla possibilità di fare “pure un morto” è, infatti, coerente e logica.
Ad analoghe conclusioni si perviene quanto alla ritenuta premeditazione.
Anche in questo caso la Corte territoriale, valorizzando in termini coerenti il contenuto delle conversazioni intercettate, ha dato specifico conto della sussistenza degli elementi costitutivi della circostanza aggravante contestata.
Quanto accertato nel corso delle indagini in merito al preventivo reperimento delle armi, alle specifiche modalità con le quali era stata organizzata l’azione, caratterizzata dall’idea di utilizzare uno schema “a schiaccianoci” predisponendo gli uomini e i mezzi in due gruppi per prevenire la fuga degli avversari e all’arco temporale intercorso, infatti, è stato correttamente ritenuto idoneo a travalicare la mera preordinazione.
Né, d’altro canto, vale a escludere la sussistenza della citata aggravante il fatto che circostanze accidentali e imprevedibili hanno costretto gli autori a reagire e a modificare, in termini non significativi, le modalità operative originariamente pianificate.
Ciò in quanto in tali ipotesi i caratteri della fermezza e dell’irrevocabilità della risoluzione criminosa necessari per la configurazione dell’aggravante della premeditazione vengono meno solo qualora l’azione sia sostanzialmente diversa da quella prevista (in senso conforme Cass. Sez. I, 5 dicembre 2011, n. 47880).
Parimenti infondata è stata ritenuta la doglianza relativa alla violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c. p..
La Corte territoriale, infatti, facendo riferimento all’eccezionale gravità delle modalità utilizzate nell’azione, sintomatiche della volontà di affermare e manifestare la propria forza criminale e la capacità di controllo del territorio si è conformata alla giurisprudenza di legittimità sul punto per cui la circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416 bis.1 c. p., è configurabile nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, come nel caso di specie, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Cass. Sez. I, 22 giugno 2022, n. 38770).
La Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta agli imputati, abbia fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex artt. 132 e 133 c. p. della Corte di merito, anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, tenuto conto, quanto a quest’ultimo aspetto alla gravità dei fatti e del contesto in cui questi si sono svolti, nonché dell’impossibilità di attribuire rilievo alle dichiarazioni ammissive, che sono sopravvenute in un momento in cui il quadro probatorio era ormai definito, nonché nel ritenere che la somma offerta sia incongrua in termini risarcitori.
Le censure mosse a tale percorso argomentativo che risulta lineare, pure in parte, orientate a sollecitare in questa sede una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena, risultano inconferenti.
Per quanto riguarda il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione del concorso materiale tra il reato di detenzione e quello di porto abusivo dell’arma, costante giurisprudenza ha evidenziato che in tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta» (Cass. Sez. I, 4 marzo 2021 n. 27343).
In una corretta prospettiva interpretativa, infatti, la detenzione e il porto sono due condotte distinte e autonome per cui normalmente la prima precede il secondo e, pertanto, l’assorbimento dell’una nell’altro si ha esclusivamente quando emergono elementi idonei a superare il criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto, ragione per cui grava sull’imputato l’onere di allegarli non essendo altrimenti tenuto il giudice di merito a effettuare alcuna verifica sul punto. (Cass. Sez. I, 4 marzo 2021 n. 27343).
Nel caso di specie, la Corte territoriale si è conformata ai principi indicati.
La conclusione, infatti, nella totale assenza di qualsivoglia indicazione di diverso tenore da parte dell’imputato, è fondata sulla coerente lettura delle conversazioni intercettate dalle quali risulta che non vi è stata coincidenza temporale tra le due condotte che, pertanto, sono distinte, per cui non si può ritenere che il concorso nella detenzione sia assorbito nel porto dell’arma.
Ne consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.